LA BASSA ROMAGNA

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LA BASSA ROMAGNA

Storia

L'Unione Bassa Romagna è un'unione di comuni nata dall'accordo tra nove comuni italiani della provincia di Ravenna. Ne fanno parte Alfonsine, Bagnacavallo, Bagnara di Romagna, Conselice, Cotignola, Fusignano, Lugo, Massa Lombarda e Sant'Agata sul Santerno.
LA CASA DELL’AGNESE La Casa dell’Agnese è una tipica casa colonica della fine dell’Ottocento, intatta nelle strutture principali (muri di mattoni e malta, solai in canne e tavelle ecc.) ed agibile al pubblico solo al piano terra. Nella stalla sono stati allestiti alcuni spazi dedicati ai vecchi arnesi utilizzati per la lavorazione del terreno, dei prodotti e per l’attività domestica. L’ampio cortile ombreggiato è circondato dal magazzino e dal vecchio stalletto col forno. Questa casa nel 1975 fu scelta dal regista Giuliano Montaldo per la realizzazione del film L’Agnese va a morire ed ora in estate è cornice di suggestivi spettacoli teatrali.
Alfonsine
LA CASA DELL’AGNESE La Casa dell’Agnese è una tipica casa colonica della fine dell’Ottocento, intatta nelle strutture principali (muri di mattoni e malta, solai in canne e tavelle ecc.) ed agibile al pubblico solo al piano terra. Nella stalla sono stati allestiti alcuni spazi dedicati ai vecchi arnesi utilizzati per la lavorazione del terreno, dei prodotti e per l’attività domestica. L’ampio cortile ombreggiato è circondato dal magazzino e dal vecchio stalletto col forno. Questa casa nel 1975 fu scelta dal regista Giuliano Montaldo per la realizzazione del film L’Agnese va a morire ed ora in estate è cornice di suggestivi spettacoli teatrali.
FRONTE DEL SENIO Il Senio nasce sulle colline toscane del Monte Carzolano e dopo 92 km confluisce nel Reno. Dal 2004, ogni anno, gli abitanti dei paesi della pianura festeggiano il 25 aprile con una lunga camminata che li porta a ricordare i luoghi e le storie del tempo di guerra. Un fiume di ricordi Sarebbe un torrente per le sue dimensioni, ma tutti preferiscono chiamarlo fiume Senio per l’importanza degli eventi verificatisi nel corso dei secoli. Lungo i suoi argini, infatti, la storia conta almeno sette conflitti: a volte semplici contese per guadagnare confini più vantaggiosi, altre volte veri scontri cruenti, come accadde nell’inverno 1944-45, quando la Campagna d’Italia degli Alleati si arrestò qui e per oltre quattro mesi eserciti provenienti da vari parti del mondo si fronteggiarono a lungo prima dell’offensiva finale avvenuta tra il 9 e l’11 aprile del 1945. Soldati sul SenioCippo martiri del Senio Solo nelle ultime settimane di marzo, infatti, il fronte del Senio assunse un’importanza strategica decisiva, nel quadro delle iniziative alleate, convincendo gli inglesi che la sorpresa, la velocità d’azione e la percorribilità delle strade statali potevano condurli alla presa di Bologna prima dei colleghi americani impegnati sugli Appennini. Nell’offensiva di aprile fu possibile per la prima volta dopo lunghi mesi riunire grandi contingenti alleati per conseguire al di qua del Po la completa distruzione del Gruppo di Armate C tedesche. Davanti agli argini del Senio, lungo una striscia variabile di terra di nessuno, per tre mesi tedeschi e repubblichini dall’alto del fiume poterono avvalersi di un ampio controllo del territorio, di campi minati e di espedienti da incursori, ma nulla poterono di fronte al grande spiegamento di mezzi alleati che entrarono in funzione il 9 aprile. L’attraversamento del Senio All’alba del 10 aprile, tra Fusignano e Alfonsine, dopo un intenso fuoco di artiglieria, i soldati del Gruppo di Combattimento “Cremona” con l’Operazione “Sonia” si preparavano ad attaccare gli argini del fiume, in corrispondenza di strade utili a raggiungere i due centri abitati. Verso mezzogiorno il 3° Battaglione del 22° Reggimento liberava Fusignano e una colonna tattica formata dalle fanterie del 21° e del 22° Reggimento raggiungeva Alfonsine. Oggi quel luogo del fiume è segnalato da un pennone e da una lapide che recita: “Da questo argine le forze partigiane, la Divisione Cremona, l’VIII Armata inglese proruppero eroiche il X aprile MCMXLV un giorno per sempre a debellare l’invasore tedesco e il traditore fascista”. Bandiera bianca sul fiume Senio La mattina del 10 aprile del 1945 il cielo sopra Cotignola fu invaso dal rombo lacerante di numerosi bombardieri, pronti a continuare l’azione devastante della sera precedente. L’attacco sembrava imminente quando il parroco don Stefano Casadio e il futuro sindaco Luigi Casadio si precipitarono con un lenzuolo bianco dalla riva sinistra del fiume verso l’argine opposto invocando la fine delle ostilità. Luigi Casadio per convincere gli alleati dovette accompagnare in città una prima pattuglia alleata che poté appurare la resa dei tedeschi.
Alfonsine
FRONTE DEL SENIO Il Senio nasce sulle colline toscane del Monte Carzolano e dopo 92 km confluisce nel Reno. Dal 2004, ogni anno, gli abitanti dei paesi della pianura festeggiano il 25 aprile con una lunga camminata che li porta a ricordare i luoghi e le storie del tempo di guerra. Un fiume di ricordi Sarebbe un torrente per le sue dimensioni, ma tutti preferiscono chiamarlo fiume Senio per l’importanza degli eventi verificatisi nel corso dei secoli. Lungo i suoi argini, infatti, la storia conta almeno sette conflitti: a volte semplici contese per guadagnare confini più vantaggiosi, altre volte veri scontri cruenti, come accadde nell’inverno 1944-45, quando la Campagna d’Italia degli Alleati si arrestò qui e per oltre quattro mesi eserciti provenienti da vari parti del mondo si fronteggiarono a lungo prima dell’offensiva finale avvenuta tra il 9 e l’11 aprile del 1945. Soldati sul SenioCippo martiri del Senio Solo nelle ultime settimane di marzo, infatti, il fronte del Senio assunse un’importanza strategica decisiva, nel quadro delle iniziative alleate, convincendo gli inglesi che la sorpresa, la velocità d’azione e la percorribilità delle strade statali potevano condurli alla presa di Bologna prima dei colleghi americani impegnati sugli Appennini. Nell’offensiva di aprile fu possibile per la prima volta dopo lunghi mesi riunire grandi contingenti alleati per conseguire al di qua del Po la completa distruzione del Gruppo di Armate C tedesche. Davanti agli argini del Senio, lungo una striscia variabile di terra di nessuno, per tre mesi tedeschi e repubblichini dall’alto del fiume poterono avvalersi di un ampio controllo del territorio, di campi minati e di espedienti da incursori, ma nulla poterono di fronte al grande spiegamento di mezzi alleati che entrarono in funzione il 9 aprile. L’attraversamento del Senio All’alba del 10 aprile, tra Fusignano e Alfonsine, dopo un intenso fuoco di artiglieria, i soldati del Gruppo di Combattimento “Cremona” con l’Operazione “Sonia” si preparavano ad attaccare gli argini del fiume, in corrispondenza di strade utili a raggiungere i due centri abitati. Verso mezzogiorno il 3° Battaglione del 22° Reggimento liberava Fusignano e una colonna tattica formata dalle fanterie del 21° e del 22° Reggimento raggiungeva Alfonsine. Oggi quel luogo del fiume è segnalato da un pennone e da una lapide che recita: “Da questo argine le forze partigiane, la Divisione Cremona, l’VIII Armata inglese proruppero eroiche il X aprile MCMXLV un giorno per sempre a debellare l’invasore tedesco e il traditore fascista”. Bandiera bianca sul fiume Senio La mattina del 10 aprile del 1945 il cielo sopra Cotignola fu invaso dal rombo lacerante di numerosi bombardieri, pronti a continuare l’azione devastante della sera precedente. L’attacco sembrava imminente quando il parroco don Stefano Casadio e il futuro sindaco Luigi Casadio si precipitarono con un lenzuolo bianco dalla riva sinistra del fiume verso l’argine opposto invocando la fine delle ostilità. Luigi Casadio per convincere gli alleati dovette accompagnare in città una prima pattuglia alleata che poté appurare la resa dei tedeschi.
LE RIVENDICAZIONI DELLE MONDINE Nel corso dell’Ottocento si diffuse a Conselice la risicoltura. I primi terreni ad essere utilizzati per la coltivazione del riso furono quelli prossimi alle paludi, situati nella parte nord del territorio comunale tra Lavezzola ed il Po di Primaro, che, alla metà del secolo, si estendevano fino alle porte dell’abitato di Conselice e San Patrizio. Nel 1890 si verificò a Conselice un grave fatto di sangue. Il 20 e 21 maggio si erano radunati in Piazza maggiore alcuni braccianti ed alcune risaiole che reclamavano migliori condizioni di lavoro e di salario. Le rivendicazioni precedenti, specialmente delle mondine, presso i proprietari delle risaie, non avevano prodotto nessuno effetto. Dal canto loro, i braccianti avevano come interlocutore lo stato e il municipio. Il Ministero dei Lavori pubblici aveva finanziato i lavori di costruzione della ferrovia Ferrara-Ravenna-Rimini, che erano terminati l’anno prima (1889) e dunque centinaia di braccianti erano rimasti disoccupati e chiedevano la riapertura di nuovi cantieri. Decisi a farsi sentire in Comune, si mossero tutti verso il municipio, ma le guardie chiamate a difendere la sede municipale spararono colpi d’arma da fuoco sui manifestanti: due mondine ed un uomo furono uccisi. Questo episodio rappresentò un momento di svolta nella storia del paese e nella storia dei rapporti di lavoro di tutta la Pianura Padana. Dopo i fatti di Piazza maggiore, infatti, lo spontaneismo lasciò il posto alle prime forme di organizzazione sindacale.
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Conselice
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LE RIVENDICAZIONI DELLE MONDINE Nel corso dell’Ottocento si diffuse a Conselice la risicoltura. I primi terreni ad essere utilizzati per la coltivazione del riso furono quelli prossimi alle paludi, situati nella parte nord del territorio comunale tra Lavezzola ed il Po di Primaro, che, alla metà del secolo, si estendevano fino alle porte dell’abitato di Conselice e San Patrizio. Nel 1890 si verificò a Conselice un grave fatto di sangue. Il 20 e 21 maggio si erano radunati in Piazza maggiore alcuni braccianti ed alcune risaiole che reclamavano migliori condizioni di lavoro e di salario. Le rivendicazioni precedenti, specialmente delle mondine, presso i proprietari delle risaie, non avevano prodotto nessuno effetto. Dal canto loro, i braccianti avevano come interlocutore lo stato e il municipio. Il Ministero dei Lavori pubblici aveva finanziato i lavori di costruzione della ferrovia Ferrara-Ravenna-Rimini, che erano terminati l’anno prima (1889) e dunque centinaia di braccianti erano rimasti disoccupati e chiedevano la riapertura di nuovi cantieri. Decisi a farsi sentire in Comune, si mossero tutti verso il municipio, ma le guardie chiamate a difendere la sede municipale spararono colpi d’arma da fuoco sui manifestanti: due mondine ed un uomo furono uccisi. Questo episodio rappresentò un momento di svolta nella storia del paese e nella storia dei rapporti di lavoro di tutta la Pianura Padana. Dopo i fatti di Piazza maggiore, infatti, lo spontaneismo lasciò il posto alle prime forme di organizzazione sindacale.
COTIGNOLA, CITTA’ DEI GIUSTI Tra l’autunno del ’43 e la primavera del ’45, trovano rifugio a Cotignola alcuni ebrei in fuga dalle persecuzioni razziali. Giungono braccati, attraverso passaparola, parentele, collegamenti partigiani. Storie differenti, accomunate da un destino comune che le lega al paese: tutti si salveranno dallo sterminio grazie ad un sistema di protezione che si rivelerà unico nel panorama italiano. E’ un caso praticamente unico quello di Cotignola che, attraverso membri autorevoli, famiglie solidali e compiacenti, funzionari comunali, ha organizzato, nel turbine dell’ultimo anno e mezzo di guerra, una rete di accoglienza che giunse a salvare 41 ebrei lì rifugiatisi, perseguitati dalle leggi razziali. Quella di Cotignola fu una vera e propria maglia organizzativa con vari protagonisti che contribuirono al successo e all’efficacia di questa opera collettiva di accoglienza che non riguardò solo ebrei ma anche rifugiati politici e sfollati. Famiglie e case, la Curia, il CLN e poi parti dell’amministrazione guidata dal commissario prefettizio Vittorio Zanzi: tutti contribuirono a tessere una trama che risulterà efficiente, affidabile e sicura. E Zanzi, sfruttando le possibilità offerte dal suo incarico, fu artefice e vertice di questa architettura segreta e resistente: oltre ad occuparsi della logistica e spostamenti nelle varie abitazioni del centro e campagne circostanti, riuscì a fornire falsi documenti d’identità ai perseguitati facendole stampare da un dipendente della tipografia e poi compilare da funzionari dell’anagrafe. Ad aiutare Zanzi la moglie Serafina e poi il noto pittore e insegnante Luigi Varoli con la moglie Anna, l’arciprete Giovanni Argnani e alcuni fidati amici della campagna circostante. Nel 2002 Vittorio e Serafina Zanzi, Luigi e Anna Varoli sono stati insigniti dallo stato di Israele della medaglia di “Giusti tra le Nazioni” e i loro nomi compaiono nel memoriale del Yad Vashem a Gerusalemme. Il Distributore non automatico di Coraggio è un murale realizzato a Cotignola nel 2015 in una cabina Enel. Una serie di quadri e finestre ricordano alcuni dei protagonisti di quei lunghi 145 giorni in cui il fronte stazionò sulle sponde del fiume Senio, dal novembre ’44 fino alla liberazione del paese avvenuta il 10 aprile del ’45. Inoltre ci sono i volti dei quattro Giusti tra le Nazioni cotignolesi, Luigi e Anna Varoli, Vittorio e Serafina Zanzi. Il murale fa parte del percorso dedicato ai “Giusti tra le Nazioni”.
Cotignola
COTIGNOLA, CITTA’ DEI GIUSTI Tra l’autunno del ’43 e la primavera del ’45, trovano rifugio a Cotignola alcuni ebrei in fuga dalle persecuzioni razziali. Giungono braccati, attraverso passaparola, parentele, collegamenti partigiani. Storie differenti, accomunate da un destino comune che le lega al paese: tutti si salveranno dallo sterminio grazie ad un sistema di protezione che si rivelerà unico nel panorama italiano. E’ un caso praticamente unico quello di Cotignola che, attraverso membri autorevoli, famiglie solidali e compiacenti, funzionari comunali, ha organizzato, nel turbine dell’ultimo anno e mezzo di guerra, una rete di accoglienza che giunse a salvare 41 ebrei lì rifugiatisi, perseguitati dalle leggi razziali. Quella di Cotignola fu una vera e propria maglia organizzativa con vari protagonisti che contribuirono al successo e all’efficacia di questa opera collettiva di accoglienza che non riguardò solo ebrei ma anche rifugiati politici e sfollati. Famiglie e case, la Curia, il CLN e poi parti dell’amministrazione guidata dal commissario prefettizio Vittorio Zanzi: tutti contribuirono a tessere una trama che risulterà efficiente, affidabile e sicura. E Zanzi, sfruttando le possibilità offerte dal suo incarico, fu artefice e vertice di questa architettura segreta e resistente: oltre ad occuparsi della logistica e spostamenti nelle varie abitazioni del centro e campagne circostanti, riuscì a fornire falsi documenti d’identità ai perseguitati facendole stampare da un dipendente della tipografia e poi compilare da funzionari dell’anagrafe. Ad aiutare Zanzi la moglie Serafina e poi il noto pittore e insegnante Luigi Varoli con la moglie Anna, l’arciprete Giovanni Argnani e alcuni fidati amici della campagna circostante. Nel 2002 Vittorio e Serafina Zanzi, Luigi e Anna Varoli sono stati insigniti dallo stato di Israele della medaglia di “Giusti tra le Nazioni” e i loro nomi compaiono nel memoriale del Yad Vashem a Gerusalemme. Il Distributore non automatico di Coraggio è un murale realizzato a Cotignola nel 2015 in una cabina Enel. Una serie di quadri e finestre ricordano alcuni dei protagonisti di quei lunghi 145 giorni in cui il fronte stazionò sulle sponde del fiume Senio, dal novembre ’44 fino alla liberazione del paese avvenuta il 10 aprile del ’45. Inoltre ci sono i volti dei quattro Giusti tra le Nazioni cotignolesi, Luigi e Anna Varoli, Vittorio e Serafina Zanzi. Il murale fa parte del percorso dedicato ai “Giusti tra le Nazioni”.
II G.M. LA LINEA GOTICA E LA BATTAGLIA DEL SENIO Tra il dicembre 1944 e il 10 aprile 1945, Alfonsine fu teatro di cruenti scontri tra tedeschi, alleati e partigiani che combatterono sul fronte, la famosa Linea Gotica ribattezzata anche die Grüne Linie, situato sul fiume Senio. La Linea Gotica ad Alfonsine La linea gotica era una linea difensiva costituita da una serie di difese fisse tracciate lungo i crinali dell’Appennino, costruita dai militari tedeschi a partire dal momento dello sbarco Alleato in Sicilia (9 luglio 1943), per impedire che gli alleati raggiungessero la pianura padana, o comunque per rallentare il più possibile la loro avanzata: dalla pianura emiliana, le Alpi e poi la Germania sarebbero state a portata di mano. Utilizzando la dorsale degli Appennini, la Linea Gotica andava da Pesaro sull’Adriatico a Massa Marittima sul Tirreno. Quando in seguito all’attacco su Rimini la linea difensiva tedesca fu ricollocata più a nord, nei primi mesi del 1944, Alfonsine, come altri paesi posti lungo la dorsale del fiume Senio, fu il luogo dove si accampavano le retroguardie delle truppe tedesche che si succedevano al fronte. Nell’estate del 1944, dopo i primi segni di cedimento, Albert Kesselring cambiò il nome della linea difensiva nel meno altisonante linea verde (Grüne Linie). La nuova linea di difesa si attestò in Romagna lungo il fiume Senio. La linea gotica fu attaccata dagli alleati nel settembre del 1944, e benché questi riuscissero a sfondare le prime linee in numerosi punti, non furono tuttavia in grado di portare l’attacco fino in fondo attestandosi per 4 mesi a Ravenna. La Battaglia del Senio Col termine “Battaglia del Senio” gli storici intendono riferirsi all’offensiva alleata che portò all’avanzamento del fronte ravennate lungo tutto il corso del fiume Senio divenuto famoso nelle cronache di quei giorni, per aver concluso la guerra in Romagna e, nel giro di due settimane, anche tutta la Campagna d’Italia avviata dagli eserciti anglo-americani nel luglio 1943 contro i tedeschi. Mentre i giovani affluirono nella 28° Brigata Garibaldi, dal dicembre 1944 al l0 aprile 1945, il resto della popolazione visse l’esperienza di un centro posto sulla linea del fronte di guerra. La popolazione si sottrasse ad ogni tentativo di allontanamento, resistette organizzandosi in modo da sopravvenire e attendere l’arrivo degli alleati. Il locale Comitato di Liberazione, inizialmente costituito dai rappresentanti dei partiti locali e dall’Arciprete, seppe tessere una tela di comitati di zona che provvedevano agli approvvigionamenti alimentari e alla raccolta di informazioni strategiche da inviare agli alleati. Il 10 aprile 1945 il Gruppo di Combattimento “Cremona” liberò Alfonsine. Il centro del paese era formato da un mucchio di macerie, essendo stato dapprima pesantemente bombardato dagli alleati e in seguito minato dei tedeschi prima della loro ritirata verso nord.
Senio
II G.M. LA LINEA GOTICA E LA BATTAGLIA DEL SENIO Tra il dicembre 1944 e il 10 aprile 1945, Alfonsine fu teatro di cruenti scontri tra tedeschi, alleati e partigiani che combatterono sul fronte, la famosa Linea Gotica ribattezzata anche die Grüne Linie, situato sul fiume Senio. La Linea Gotica ad Alfonsine La linea gotica era una linea difensiva costituita da una serie di difese fisse tracciate lungo i crinali dell’Appennino, costruita dai militari tedeschi a partire dal momento dello sbarco Alleato in Sicilia (9 luglio 1943), per impedire che gli alleati raggiungessero la pianura padana, o comunque per rallentare il più possibile la loro avanzata: dalla pianura emiliana, le Alpi e poi la Germania sarebbero state a portata di mano. Utilizzando la dorsale degli Appennini, la Linea Gotica andava da Pesaro sull’Adriatico a Massa Marittima sul Tirreno. Quando in seguito all’attacco su Rimini la linea difensiva tedesca fu ricollocata più a nord, nei primi mesi del 1944, Alfonsine, come altri paesi posti lungo la dorsale del fiume Senio, fu il luogo dove si accampavano le retroguardie delle truppe tedesche che si succedevano al fronte. Nell’estate del 1944, dopo i primi segni di cedimento, Albert Kesselring cambiò il nome della linea difensiva nel meno altisonante linea verde (Grüne Linie). La nuova linea di difesa si attestò in Romagna lungo il fiume Senio. La linea gotica fu attaccata dagli alleati nel settembre del 1944, e benché questi riuscissero a sfondare le prime linee in numerosi punti, non furono tuttavia in grado di portare l’attacco fino in fondo attestandosi per 4 mesi a Ravenna. La Battaglia del Senio Col termine “Battaglia del Senio” gli storici intendono riferirsi all’offensiva alleata che portò all’avanzamento del fronte ravennate lungo tutto il corso del fiume Senio divenuto famoso nelle cronache di quei giorni, per aver concluso la guerra in Romagna e, nel giro di due settimane, anche tutta la Campagna d’Italia avviata dagli eserciti anglo-americani nel luglio 1943 contro i tedeschi. Mentre i giovani affluirono nella 28° Brigata Garibaldi, dal dicembre 1944 al l0 aprile 1945, il resto della popolazione visse l’esperienza di un centro posto sulla linea del fronte di guerra. La popolazione si sottrasse ad ogni tentativo di allontanamento, resistette organizzandosi in modo da sopravvenire e attendere l’arrivo degli alleati. Il locale Comitato di Liberazione, inizialmente costituito dai rappresentanti dei partiti locali e dall’Arciprete, seppe tessere una tela di comitati di zona che provvedevano agli approvvigionamenti alimentari e alla raccolta di informazioni strategiche da inviare agli alleati. Il 10 aprile 1945 il Gruppo di Combattimento “Cremona” liberò Alfonsine. Il centro del paese era formato da un mucchio di macerie, essendo stato dapprima pesantemente bombardato dagli alleati e in seguito minato dei tedeschi prima della loro ritirata verso nord.
LA SOMMOSSA E IL SACCO DI LUGO La sommossa e sacco di Lugo fu un episodio di insorgenza contro le truppe francesi avvenuto nella cittadina romagnola tra il 30 giugno e l’8 luglio 1796. Il 23 giugno le truppe francesi entrarono a Ferrara e da qui giunse a Lugo l’ordine di raccogliere 4 milioni di lire da consegnare all’esercito repubblicano. Il 30 giugno due commissari repubblicani giunsero a Lugo con l’incarico di raccogliere le somme. Nei giorni precedenti i lughesi avevano raccolto, tra denaro e valori, già 18.000 scudi, ma i due commissari pretesero di prelevare tutto, nonostante non avessero il mandato e la scadenza intimata dei quindici giorni fosse ancora lontana. Perciò alla loro richiesta i Pubblici Rappresentanti della città opposero un rifiuto. Per tutta riposta il busto argenteo di Sant’Illaro venne espropriato e questo atto fece montare l’indignazione popolare. Scoppiò la sommossa della popolazione che portò al controllo della città da parte degli insorti. Il 1º luglio i rivoltosi andarono di casa in casa a diffondere l’appello contro i francesi e a raccogliere adesioni. La rivolta trovò alleati anche in altri Comuni della Bassa Romagna, tra i quali Cotignola, Barbiano, Massa Lombarda, Sant’Agata, Bagnara, Solarolo e Mordano. Il 6 luglio arrivò a Lugo la notizia dell’avvistamento delle truppe francesi. Gli insorti andarono loro incontro per bloccarli prima che giungessero al fiume Santerno e alla Frascata avvenne il primo scontro. I lughesi utilizzarono come baluardo difensivo l’argine del Santerno, arrestando così l’avanzata dei francesi. Ritenendo che avrebbero riprovato ad attraversare il Santerno, i rivoltosi radunarono quasi tutte le loro forze sulle rive del fiume. Solo una piccola guarnigione di cotignolesi rimase di guardia dalla parte di Faenza e fu appunto da questo lato che i francesi riuscirono a sfondare e a giungere in vista di Lugo. I colpi di cannone dell’artiglieria francese ebbero come effetto la dispersione delle forze difensive; solo pochi irriducibili rimasero a difendere la città. I francesi riuscirono ben presto ad entrare a Lugo e la rappresaglia iniziò immediatamente: i soldati saccheggiarono, depredarono e devastarono tutto e tutti; anche il venerato busto di Sant’Illaro venne depredato e portato via dai repubblicani. Grazie
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Lugo
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LA SOMMOSSA E IL SACCO DI LUGO La sommossa e sacco di Lugo fu un episodio di insorgenza contro le truppe francesi avvenuto nella cittadina romagnola tra il 30 giugno e l’8 luglio 1796. Il 23 giugno le truppe francesi entrarono a Ferrara e da qui giunse a Lugo l’ordine di raccogliere 4 milioni di lire da consegnare all’esercito repubblicano. Il 30 giugno due commissari repubblicani giunsero a Lugo con l’incarico di raccogliere le somme. Nei giorni precedenti i lughesi avevano raccolto, tra denaro e valori, già 18.000 scudi, ma i due commissari pretesero di prelevare tutto, nonostante non avessero il mandato e la scadenza intimata dei quindici giorni fosse ancora lontana. Perciò alla loro richiesta i Pubblici Rappresentanti della città opposero un rifiuto. Per tutta riposta il busto argenteo di Sant’Illaro venne espropriato e questo atto fece montare l’indignazione popolare. Scoppiò la sommossa della popolazione che portò al controllo della città da parte degli insorti. Il 1º luglio i rivoltosi andarono di casa in casa a diffondere l’appello contro i francesi e a raccogliere adesioni. La rivolta trovò alleati anche in altri Comuni della Bassa Romagna, tra i quali Cotignola, Barbiano, Massa Lombarda, Sant’Agata, Bagnara, Solarolo e Mordano. Il 6 luglio arrivò a Lugo la notizia dell’avvistamento delle truppe francesi. Gli insorti andarono loro incontro per bloccarli prima che giungessero al fiume Santerno e alla Frascata avvenne il primo scontro. I lughesi utilizzarono come baluardo difensivo l’argine del Santerno, arrestando così l’avanzata dei francesi. Ritenendo che avrebbero riprovato ad attraversare il Santerno, i rivoltosi radunarono quasi tutte le loro forze sulle rive del fiume. Solo una piccola guarnigione di cotignolesi rimase di guardia dalla parte di Faenza e fu appunto da questo lato che i francesi riuscirono a sfondare e a giungere in vista di Lugo. I colpi di cannone dell’artiglieria francese ebbero come effetto la dispersione delle forze difensive; solo pochi irriducibili rimasero a difendere la città. I francesi riuscirono ben presto ad entrare a Lugo e la rappresaglia iniziò immediatamente: i soldati saccheggiarono, depredarono e devastarono tutto e tutti; anche il venerato busto di Sant’Illaro venne depredato e portato via dai repubblicani. Grazie
F. BARACCA – IL MITO Monumento Francesco Baracca inaugurazioneL’importanza che il ruolo di Francesco Baracca ha avuto durante la prima guerra mondiale è stata tanto grande da trasformare la figura di questo aviatore in un vero e proprio mito. Mito legato anche al cavallino rampante delle “rosse” di Maranello. Molto si è scritto su di lui ed è interessante notare due tipologie principali di tutti i testi che hanno studiato la sua vita. Da una parte si tende a sottolineare la figura di un eroe umano e cavaliere in combattimento, che considera gli scontri aerei come dei veri duelli tra gentiluomini, un entusiasta dello spettacolo aereo, della lotta e della vittoria (strumentalizzato poi nel periodo fascista, durante il quale Francesco Baracca servì come simbolo della mistica e dell’ideologia della Nuova Italia, presentato come un eroe dedito solo alla difesa della patria). L’altra interpretazione è quella, invece, di un Baracca più combattivo, incapace di pietà verso il nemico, una macchina da guerra senza cuore e ligio solo al dovere militare. Nonostante l’esistenza di queste differenti rappresentazioni dell’aviatore, quella che oggi viene meglio accolta è quella di un uomo comune, sensibile alla modernità, attento ai vantaggi della carriera cioè, l’evasione dalla routine quotidiana e il successo. Le sue memorie sono raccolte nel Museo a lui dedicato.
Piazza Francesco Baracca
Piazza Francesco Baracca
F. BARACCA – IL MITO Monumento Francesco Baracca inaugurazioneL’importanza che il ruolo di Francesco Baracca ha avuto durante la prima guerra mondiale è stata tanto grande da trasformare la figura di questo aviatore in un vero e proprio mito. Mito legato anche al cavallino rampante delle “rosse” di Maranello. Molto si è scritto su di lui ed è interessante notare due tipologie principali di tutti i testi che hanno studiato la sua vita. Da una parte si tende a sottolineare la figura di un eroe umano e cavaliere in combattimento, che considera gli scontri aerei come dei veri duelli tra gentiluomini, un entusiasta dello spettacolo aereo, della lotta e della vittoria (strumentalizzato poi nel periodo fascista, durante il quale Francesco Baracca servì come simbolo della mistica e dell’ideologia della Nuova Italia, presentato come un eroe dedito solo alla difesa della patria). L’altra interpretazione è quella, invece, di un Baracca più combattivo, incapace di pietà verso il nemico, una macchina da guerra senza cuore e ligio solo al dovere militare. Nonostante l’esistenza di queste differenti rappresentazioni dell’aviatore, quella che oggi viene meglio accolta è quella di un uomo comune, sensibile alla modernità, attento ai vantaggi della carriera cioè, l’evasione dalla routine quotidiana e il successo. Le sue memorie sono raccolte nel Museo a lui dedicato.

Pievi, chiese

Santa Maria in Fabriago di Lugo La chiesa di Campanile o pieve di Campanile e di Fabriago è un luogo di culto cattolico e si trova nella località Campanile della frazione di Santa Maria di Fabriago del comune di Lugo, in provincia di Ravenna. Intitolata alla Natività di Maria, la chiesa è documentata sin dal X secolo. Il campanile Il luogo mantiene intatto il bellissimo campanile cilindrico di tipo ravennate che lo caratterizza, e che dà il nome alla località. La torre, che sorge su una base quadrata di epoca romana, probabilmente risale all'VIII secolo: è uno dei più antichi campanili dell'intero territorio italiano. Il manufatto presenta sulla parte inferiore cinque piccole finestre romaniche che proseguono sui piani superiori quattro ordini di aperture disposte a ventaglio, diventando bifore, poi trifore alleggerendo in questo modo la struttura e portando luce all'interno. Il campanile è stato restaurato nel 1915 dalla Sovrintendenza della Provincia di Ravenna, con il reimpiego di materiale antico: sia marmo rosso di Verona, sia travertino e laterizi di età romana.
Chiesa di Campanile
Via Campanile
Santa Maria in Fabriago di Lugo La chiesa di Campanile o pieve di Campanile e di Fabriago è un luogo di culto cattolico e si trova nella località Campanile della frazione di Santa Maria di Fabriago del comune di Lugo, in provincia di Ravenna. Intitolata alla Natività di Maria, la chiesa è documentata sin dal X secolo. Il campanile Il luogo mantiene intatto il bellissimo campanile cilindrico di tipo ravennate che lo caratterizza, e che dà il nome alla località. La torre, che sorge su una base quadrata di epoca romana, probabilmente risale all'VIII secolo: è uno dei più antichi campanili dell'intero territorio italiano. Il manufatto presenta sulla parte inferiore cinque piccole finestre romaniche che proseguono sui piani superiori quattro ordini di aperture disposte a ventaglio, diventando bifore, poi trifore alleggerendo in questo modo la struttura e portando luce all'interno. Il campanile è stato restaurato nel 1915 dalla Sovrintendenza della Provincia di Ravenna, con il reimpiego di materiale antico: sia marmo rosso di Verona, sia travertino e laterizi di età romana.
Cotignola La chiesa conventuale di S. Francesco, in stile gotico-romano, fu edificata nel decennio 1484-1494 grazie alla bolla di autorizzazione concessa da Papa Sisto IV il 6 giugno 1484 e consacrata nel 1495. Nella chiesa è conservato il corpo incorrotto del Beato Antonio Bonfadini, morto nel 1482, conosciuto meglio come il “Santo di Cotignola”. Si conservano all’interno affreschi, scampati miracolosamente alle distruzioni belliche, che raffigurano: due Angeli che reggono lo stemma della famiglia Biancoli, di ignoto autore cinquecentesco e la Pietà, attribuita a Gerolamo Marchesi, di cui rimane in situ la sinopia sopra la porta d’ingresso della navata laterale sinistra, attualmente collocato sopra l’altare maggiore. Da notare una lunetta rappresentante la Pietà, parte terminale di una pala, firmata dai fratelli Zaganelli (XV sec.), ora nella galleria Brera a Milano.
Chiesa di San Francesco
3 Piazza Giosuè Carducci
Cotignola La chiesa conventuale di S. Francesco, in stile gotico-romano, fu edificata nel decennio 1484-1494 grazie alla bolla di autorizzazione concessa da Papa Sisto IV il 6 giugno 1484 e consacrata nel 1495. Nella chiesa è conservato il corpo incorrotto del Beato Antonio Bonfadini, morto nel 1482, conosciuto meglio come il “Santo di Cotignola”. Si conservano all’interno affreschi, scampati miracolosamente alle distruzioni belliche, che raffigurano: due Angeli che reggono lo stemma della famiglia Biancoli, di ignoto autore cinquecentesco e la Pietà, attribuita a Gerolamo Marchesi, di cui rimane in situ la sinopia sopra la porta d’ingresso della navata laterale sinistra, attualmente collocato sopra l’altare maggiore. Da notare una lunetta rappresentante la Pietà, parte terminale di una pala, firmata dai fratelli Zaganelli (XV sec.), ora nella galleria Brera a Milano.
Lugo ORATORIO DI PASSOGATTO L’oratorio di Passogatto fu edificato agli inizi del XVIII secolo e dedicato ad una piccola Madonna di Loreto la cui immagine fu ritrovata quando nel 1957 si decise di chiudere l’edificio per procedere al restauro. E’ un piccolo capolavoro di architettura barocca, a croce greca, con quattro cappelle ornate da grandi conchiglie. Ben poco resta delle suppellettili sacre: tra queste la più importante è l’artistica ancona (fine ‘600), capolavoro dell’artigianato locale, con nicchia entro la quale è l’immagine della Beata Vergine.
Oratorio di Passogatto
Via Passogatto
Lugo ORATORIO DI PASSOGATTO L’oratorio di Passogatto fu edificato agli inizi del XVIII secolo e dedicato ad una piccola Madonna di Loreto la cui immagine fu ritrovata quando nel 1957 si decise di chiudere l’edificio per procedere al restauro. E’ un piccolo capolavoro di architettura barocca, a croce greca, con quattro cappelle ornate da grandi conchiglie. Ben poco resta delle suppellettili sacre: tra queste la più importante è l’artistica ancona (fine ‘600), capolavoro dell’artigianato locale, con nicchia entro la quale è l’immagine della Beata Vergine.
Cotignola Antica casa degli Attendoli-Sforza, ricostruito fedelmente nel 1961. L’abitazione degli Sforza, nel periodo del loro dominio nella città di Cotignola venne completamente distrutta durante la sosta del fronte tra il 1944 ed il 1945. Il palazzo, edificato nel 1376 da Giovanni Attendoli, padre di Muzio Attendolo Sforza, fu dichiarato Monumento Nazionale per l’Arte e per la storia nell’anno 1892, ma ciò non valse a salvarlo dalla distruzione. Ricostruito fedelmente nel rispetto dell’originale armoniosa struttura nel 1961, conserva inglobati in alcune sue parti elementi architettonici originali, rimasti fortunatamente integri dopo il crollo. In particolare è stato ricollocato sopra l’ingresso del Palazzo il rosone in cotto con lo stemma degli Sforza dal quale, tra l’altro, è stato tratto l’attuale stemma della città. Nel cortile interno del palazzo si possono ancora ammirare le leggiadre colonne del loggiato e vari altri pezzi di valore, come la stele funeraria di Caio Vario. Il Palazzo è utilizzato attualmente come sede di mostre d’arte e manifestazioni culturali e sociali. Nei suoi piani superiori trova posto l’Archivio Storico ed il Museo Luigi Varoli.
Palazzo Sforza
21 Corso Sforza
Cotignola Antica casa degli Attendoli-Sforza, ricostruito fedelmente nel 1961. L’abitazione degli Sforza, nel periodo del loro dominio nella città di Cotignola venne completamente distrutta durante la sosta del fronte tra il 1944 ed il 1945. Il palazzo, edificato nel 1376 da Giovanni Attendoli, padre di Muzio Attendolo Sforza, fu dichiarato Monumento Nazionale per l’Arte e per la storia nell’anno 1892, ma ciò non valse a salvarlo dalla distruzione. Ricostruito fedelmente nel rispetto dell’originale armoniosa struttura nel 1961, conserva inglobati in alcune sue parti elementi architettonici originali, rimasti fortunatamente integri dopo il crollo. In particolare è stato ricollocato sopra l’ingresso del Palazzo il rosone in cotto con lo stemma degli Sforza dal quale, tra l’altro, è stato tratto l’attuale stemma della città. Nel cortile interno del palazzo si possono ancora ammirare le leggiadre colonne del loggiato e vari altri pezzi di valore, come la stele funeraria di Caio Vario. Il Palazzo è utilizzato attualmente come sede di mostre d’arte e manifestazioni culturali e sociali. Nei suoi piani superiori trova posto l’Archivio Storico ed il Museo Luigi Varoli.
Bagnacavallo Le più antiche testimonianze della Pieve di San Pietro in Silvis, chiesa già battesimale costruita su un precedente “sito” religioso di epoca romana, si riferiscono al sec. VII. Fu certamente la più grande per estensione e la più importante fra le chiese battesimali che ebbero il ruolo di avamposti per la lotta alla palude e per il conseguente popolamento del territorio. In muratura esistevano a quei tempi solo la chiesa e la “torre” (campanile) che svolgeva peraltro all’epoca anche funzioni abitative. Risale a tale periodo il pregevole altarolo a cippo di marmo conservato nel presbiterio. Seguirono circa due secoli (IX-X) caratterizzati da un forte decadimento per varie calamità naturali (alluvioni, epidemie, ecc.) e una assai lenta ripresa che diede i primi risultati veramente tangibili solo dopo il Mille. E’ a questo punto, e cioè nei sec. XI-XII che si deve collocare anche l’inizio della vita comune dei preti presso la Pieve così come i documenti letterari attestano e la realizzazione della “cripta a oratorio” confermerebbe. La Pieve esercita da questo momento la funzione di Ecclesia matrix (Chiesa madre) di un territorio assai ampio, nonostante il giungere nel sec. XII del castrum Tiberiacum a dignità di castello e che si estende all’ambito geografico che finirà poi col coincidere con l’estensione territoriale del Comune di Bagnacavallo. Solo più tardi, tra i sec. XIII e XIV, l’organizzazione ecclesiastica darà origine al sistema di “parrocchie”, quello stesso sistema che garantisce ancor oggi la cura d’anime e i sacramenti. Nei secoli XIV e XV la chiesa fu abbellita da numerose opere pittoriche, ancora oggi in parte visibili, nel catino absidale e in frammenti sparsi sui pilastri, tra i quali ben otto volti-figure della Madonna. I ritratti degli arcipreti, esposti nel salone della canonica, vogliono darci, a partire dal sec. XVIII, documentazione di questa realtà organizzativa evidenziandone i personaggi più illustri. E’ del 1735-1736, abbattuti i ruderi della “torre” caduta a causa del precedente terremoto del 1688, la costruzione in muratura della canonica, ad opera del primo arciprete “mitrato” Giuseppe Zauli. E’ così che possiamo ammirare ancora oggi un nobile edificio settecentesco, la cui ristrutturazione è appena ultimata (2000), che sarà adibito a Centro di Formazione. La chiesa della Pieve ha subito invece diversi interventi durante il secolo passato (1929-33, 1945-50, 1969-72, 1981-82) che ne hanno restaurato il pavimento, l’abside, il tetto e ricostruito il campanile (1933). Più recentemente (1995) sono stati restaurati i magnifici dipinti del 1300 attribuibili a Pietro da Rimini e alla sua scuola.
Pieve of Saint Pietro in Silvis
51 Via Pieve-Masiera
Bagnacavallo Le più antiche testimonianze della Pieve di San Pietro in Silvis, chiesa già battesimale costruita su un precedente “sito” religioso di epoca romana, si riferiscono al sec. VII. Fu certamente la più grande per estensione e la più importante fra le chiese battesimali che ebbero il ruolo di avamposti per la lotta alla palude e per il conseguente popolamento del territorio. In muratura esistevano a quei tempi solo la chiesa e la “torre” (campanile) che svolgeva peraltro all’epoca anche funzioni abitative. Risale a tale periodo il pregevole altarolo a cippo di marmo conservato nel presbiterio. Seguirono circa due secoli (IX-X) caratterizzati da un forte decadimento per varie calamità naturali (alluvioni, epidemie, ecc.) e una assai lenta ripresa che diede i primi risultati veramente tangibili solo dopo il Mille. E’ a questo punto, e cioè nei sec. XI-XII che si deve collocare anche l’inizio della vita comune dei preti presso la Pieve così come i documenti letterari attestano e la realizzazione della “cripta a oratorio” confermerebbe. La Pieve esercita da questo momento la funzione di Ecclesia matrix (Chiesa madre) di un territorio assai ampio, nonostante il giungere nel sec. XII del castrum Tiberiacum a dignità di castello e che si estende all’ambito geografico che finirà poi col coincidere con l’estensione territoriale del Comune di Bagnacavallo. Solo più tardi, tra i sec. XIII e XIV, l’organizzazione ecclesiastica darà origine al sistema di “parrocchie”, quello stesso sistema che garantisce ancor oggi la cura d’anime e i sacramenti. Nei secoli XIV e XV la chiesa fu abbellita da numerose opere pittoriche, ancora oggi in parte visibili, nel catino absidale e in frammenti sparsi sui pilastri, tra i quali ben otto volti-figure della Madonna. I ritratti degli arcipreti, esposti nel salone della canonica, vogliono darci, a partire dal sec. XVIII, documentazione di questa realtà organizzativa evidenziandone i personaggi più illustri. E’ del 1735-1736, abbattuti i ruderi della “torre” caduta a causa del precedente terremoto del 1688, la costruzione in muratura della canonica, ad opera del primo arciprete “mitrato” Giuseppe Zauli. E’ così che possiamo ammirare ancora oggi un nobile edificio settecentesco, la cui ristrutturazione è appena ultimata (2000), che sarà adibito a Centro di Formazione. La chiesa della Pieve ha subito invece diversi interventi durante il secolo passato (1929-33, 1945-50, 1969-72, 1981-82) che ne hanno restaurato il pavimento, l’abside, il tetto e ricostruito il campanile (1933). Più recentemente (1995) sono stati restaurati i magnifici dipinti del 1300 attribuibili a Pietro da Rimini e alla sua scuola.
Massalombarda Fuori “Porta del Brabante”, verso Lugo, si trovava, all’incrocio con la carraia del bosco, una chiesetta con annesso piccolo convento appartenente ai Carmelitani. Si chiamava Celletta, nome che poi passò anche alla strada stessa. Allora veramente di strada non si poteva parlare: era una carreggiata che conduceva al grande bosco detto di San Paolo e di Bagnarolo. Ai lati della strada stavano due fossati che portavano l’acqua nel canale Bagnarolo. Si vuole che in questi boschi, lungo il sec. XVI avvenissero spesso fatti d’arme dovuti ai banditi infestanti la zona, ricordati più volte anche nei libri parrocchiali dei morti intorno all’anno 1591. In ricordo della uccisione di un capitano delle truppe regolari, avvenuta presso la Celletta, dai parenti di origine faentina, fu posta sopra un albero una immagine della Madonna, in ceramica. L’immagine poi col tempo sarebbe caduta nel fossato sottostante e qui sarebbe rimasta sepolta, tra le foglie e il terriccio, per molti anni. Effettivamente la sacra Immagine della Madonna della Consolazione può essere una ceramica del sec. XVI di fattura faentina, come suggeriscono la composizione e i colori. La tradizione vuole che nel 1747 il missionario Padre Leonardo da Porto Maurizio (poi canonizzato da Pio IX nel 1867), durante le SS. Missioni che si tennero a Massa Lombarda dal 27 gennaio al 15 febbraio di quell’anno, parlando in piazza, insistesse spesso sul concetto che presto sarebbe stato scoperto a Massa un “tesoro” e indicava con la mano il bosco di Bagnarolo. Vollero molti ricordare queste parole del Santo Predicatore quando l’11 dicembre 1793 certo Giacomo Pasotti, abitante nel podere Sbarra di proprietà della Confraternita di Santa Maria Assunta, mentre sistemava i fossi della possessione, trovò l’Immagine che venne spezzata dalla vanga e subito puntata da certo Burnazzi Antonio, fabbro ferraio di Massa. Questa immagine venne appesa a un albero nel luogo del ritrovamento e diventò subito oggetto di grande venerazione. Fu un accorrere di fedeli anche da luoghi lontani: ogni sera sul luogo si recava un Sacerdote per la recita delle Litanie. Seguirono anche guarigioni che fecero gridare al miracolo. Moltissime sono le tavolette votive che si conservano ancora oggi e che risalgono anche fino a quei primi tempi. Nel 1794 il Cardinale Barnaba Chiaramonti, Vescovo di Imola (che fu poi Pio VII) portatosi sul posto a venerare l’Immagine, stabilì di costruire una chiesetta in onore della Madonna: nel frattempo con le offerte raccolte si erigesse una cappella provvisoria presso l’albero, sul ciglio della carraia. La chiesetta provvisoria fu benedetta solennemente il 14 settembre 1794 con largo consenso di popolo e alla presenza del pubblico magistrato, di tutto il Clero, dei Padri Carmelitani, dei Padri dell’Osservanza e delle sei confraternite assai fiorenti a Massa Lombarda: quella del Santissimo Sacramento, di Santa Maria Assunta dello Spedale, del Rosario, di San Giuseppe, di Santo Antonio da Padova e della Beata Vergine Addolorata. Alla Celletta, sul crocevia, era stato eretto un arco di trionfo in legno e si era fatta l’illuminazione alla porta del Castello. La costruzione dell’attuale Santuario cominciò poco dopo, su disegno e fattura dell’Architetto massese Zaccaria Facchini: la prima pietra fu benedetta dal Cardinal Chiaramonti la terza domenica di ottobre 1797. Durante l’invasione francese i fondi preparati per il Santuario furono confiscati e la fabbrica conobbe una lunga sosta. Fu ripresa soltanto nel 1812 e terminata l’8 settembre del 1914. L’inaugurazione riuscì oltremodo solenne, con la partecipazione dell’intera città e la presenza di numerosi pellegrini fin dalla Toscana e dalle Marche. Lungo il sec. XIX varie volte la venerata Immagine fu portata in città; sia per circostanze liete, sia per casi di gravi flagelli, come avvenne nel 1855 a motivo dell’imperversante colera. Massa Lombarda ne rimase praticamente indenne e attribuì questo fatto alla celeste protezione della Madonna della Consolazione: il Municipio, in segno di riconoscenza la dichiaro “Patrona e Regina di Massa Lombarda e suo Territorio” e ne chiese la l’incoronazione che ebbe luogo per ministero del Cardinal Gaetano Baluffi, Vescovo di Imola il 5 settembre 1858. Degni di nota ancora i grandi festeggiamenti che Massa tributò alla sua Patrona nel primo centenario nel 1893. Durante la guerra 1940-45 il Santuario ebbe gravi ferite per causa di bombardamenti, le corone auree furono rubate dal capo della Madonna e del bambino Gesù, molte suppellettili sacre furono manomesse. Ma i Massesi, pur nelle mutate condizioni religiose, non hanno mai dimenticato la loro celeste Padrona, custode delle tombe dei loro Morti. Si giunse ad una nuova incoronazione che ebbe luogo il 6 ottobre 1954 per ministero del card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, essendo arciprete Mons. Giovanni Proni, attuale Vescovo di Forlì. Migliorate anche le condizioni economiche della città, si diede mano al completo restauro del Santuario, negli anni 1972-73 riportandolo alla sua graziosa forma originale e aggiungendovi un piccolo campanile, come già aveva avuto in passato. Il Santuario fu dichiarato monumento di importanza artistica dalla Soprintendenza di Ravenna il giorno 11 luglio 1911. L’architetto Facchini, sapendo di fare un’opera che sarebbe stata particolarmente cara ai suoi concittadini, pur tra le immancabili difficoltà incontrate e le conseguenti incomprensioni, ha profuso il meglio di sé in questo lavoro. Il tempio è di forma circolare: dorico all’esterno, corinzio all’interno. Nella rotonda si aprono sei grandi archi sostenuti da colonne rotonde che fanno da cornice alle cappelle. In alto, in corrispondenza degli archi danno una mistica luce sei finestre a vetri istoriati, costruite nel 1973 dalla Ditta Mellini di Firenze. Rappresentano: il Crocifisso dal lato del cimitero, San Paolo sulla facciata, San Rocco e San Sebastiano a destra, San Cassiano e San Pier Grisologo a sinistra. Il piccolo campanile che contiene tre campane, è stato costruito su disegno dell’Arch. massese Ettore Panighi. Tutto il lavoro di restauro è stato eseguito a regola d’arte dalla Ditta Vincenzo Bellini di Massa Lombarda e vi hanno contribuito con meravigliosa generosità tanti devoti cittadini di Massa Lombarda.
Santuario della Madonna della Consolazione
16 Via Cimitero
Massalombarda Fuori “Porta del Brabante”, verso Lugo, si trovava, all’incrocio con la carraia del bosco, una chiesetta con annesso piccolo convento appartenente ai Carmelitani. Si chiamava Celletta, nome che poi passò anche alla strada stessa. Allora veramente di strada non si poteva parlare: era una carreggiata che conduceva al grande bosco detto di San Paolo e di Bagnarolo. Ai lati della strada stavano due fossati che portavano l’acqua nel canale Bagnarolo. Si vuole che in questi boschi, lungo il sec. XVI avvenissero spesso fatti d’arme dovuti ai banditi infestanti la zona, ricordati più volte anche nei libri parrocchiali dei morti intorno all’anno 1591. In ricordo della uccisione di un capitano delle truppe regolari, avvenuta presso la Celletta, dai parenti di origine faentina, fu posta sopra un albero una immagine della Madonna, in ceramica. L’immagine poi col tempo sarebbe caduta nel fossato sottostante e qui sarebbe rimasta sepolta, tra le foglie e il terriccio, per molti anni. Effettivamente la sacra Immagine della Madonna della Consolazione può essere una ceramica del sec. XVI di fattura faentina, come suggeriscono la composizione e i colori. La tradizione vuole che nel 1747 il missionario Padre Leonardo da Porto Maurizio (poi canonizzato da Pio IX nel 1867), durante le SS. Missioni che si tennero a Massa Lombarda dal 27 gennaio al 15 febbraio di quell’anno, parlando in piazza, insistesse spesso sul concetto che presto sarebbe stato scoperto a Massa un “tesoro” e indicava con la mano il bosco di Bagnarolo. Vollero molti ricordare queste parole del Santo Predicatore quando l’11 dicembre 1793 certo Giacomo Pasotti, abitante nel podere Sbarra di proprietà della Confraternita di Santa Maria Assunta, mentre sistemava i fossi della possessione, trovò l’Immagine che venne spezzata dalla vanga e subito puntata da certo Burnazzi Antonio, fabbro ferraio di Massa. Questa immagine venne appesa a un albero nel luogo del ritrovamento e diventò subito oggetto di grande venerazione. Fu un accorrere di fedeli anche da luoghi lontani: ogni sera sul luogo si recava un Sacerdote per la recita delle Litanie. Seguirono anche guarigioni che fecero gridare al miracolo. Moltissime sono le tavolette votive che si conservano ancora oggi e che risalgono anche fino a quei primi tempi. Nel 1794 il Cardinale Barnaba Chiaramonti, Vescovo di Imola (che fu poi Pio VII) portatosi sul posto a venerare l’Immagine, stabilì di costruire una chiesetta in onore della Madonna: nel frattempo con le offerte raccolte si erigesse una cappella provvisoria presso l’albero, sul ciglio della carraia. La chiesetta provvisoria fu benedetta solennemente il 14 settembre 1794 con largo consenso di popolo e alla presenza del pubblico magistrato, di tutto il Clero, dei Padri Carmelitani, dei Padri dell’Osservanza e delle sei confraternite assai fiorenti a Massa Lombarda: quella del Santissimo Sacramento, di Santa Maria Assunta dello Spedale, del Rosario, di San Giuseppe, di Santo Antonio da Padova e della Beata Vergine Addolorata. Alla Celletta, sul crocevia, era stato eretto un arco di trionfo in legno e si era fatta l’illuminazione alla porta del Castello. La costruzione dell’attuale Santuario cominciò poco dopo, su disegno e fattura dell’Architetto massese Zaccaria Facchini: la prima pietra fu benedetta dal Cardinal Chiaramonti la terza domenica di ottobre 1797. Durante l’invasione francese i fondi preparati per il Santuario furono confiscati e la fabbrica conobbe una lunga sosta. Fu ripresa soltanto nel 1812 e terminata l’8 settembre del 1914. L’inaugurazione riuscì oltremodo solenne, con la partecipazione dell’intera città e la presenza di numerosi pellegrini fin dalla Toscana e dalle Marche. Lungo il sec. XIX varie volte la venerata Immagine fu portata in città; sia per circostanze liete, sia per casi di gravi flagelli, come avvenne nel 1855 a motivo dell’imperversante colera. Massa Lombarda ne rimase praticamente indenne e attribuì questo fatto alla celeste protezione della Madonna della Consolazione: il Municipio, in segno di riconoscenza la dichiaro “Patrona e Regina di Massa Lombarda e suo Territorio” e ne chiese la l’incoronazione che ebbe luogo per ministero del Cardinal Gaetano Baluffi, Vescovo di Imola il 5 settembre 1858. Degni di nota ancora i grandi festeggiamenti che Massa tributò alla sua Patrona nel primo centenario nel 1893. Durante la guerra 1940-45 il Santuario ebbe gravi ferite per causa di bombardamenti, le corone auree furono rubate dal capo della Madonna e del bambino Gesù, molte suppellettili sacre furono manomesse. Ma i Massesi, pur nelle mutate condizioni religiose, non hanno mai dimenticato la loro celeste Padrona, custode delle tombe dei loro Morti. Si giunse ad una nuova incoronazione che ebbe luogo il 6 ottobre 1954 per ministero del card. Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, essendo arciprete Mons. Giovanni Proni, attuale Vescovo di Forlì. Migliorate anche le condizioni economiche della città, si diede mano al completo restauro del Santuario, negli anni 1972-73 riportandolo alla sua graziosa forma originale e aggiungendovi un piccolo campanile, come già aveva avuto in passato. Il Santuario fu dichiarato monumento di importanza artistica dalla Soprintendenza di Ravenna il giorno 11 luglio 1911. L’architetto Facchini, sapendo di fare un’opera che sarebbe stata particolarmente cara ai suoi concittadini, pur tra le immancabili difficoltà incontrate e le conseguenti incomprensioni, ha profuso il meglio di sé in questo lavoro. Il tempio è di forma circolare: dorico all’esterno, corinzio all’interno. Nella rotonda si aprono sei grandi archi sostenuti da colonne rotonde che fanno da cornice alle cappelle. In alto, in corrispondenza degli archi danno una mistica luce sei finestre a vetri istoriati, costruite nel 1973 dalla Ditta Mellini di Firenze. Rappresentano: il Crocifisso dal lato del cimitero, San Paolo sulla facciata, San Rocco e San Sebastiano a destra, San Cassiano e San Pier Grisologo a sinistra. Il piccolo campanile che contiene tre campane, è stato costruito su disegno dell’Arch. massese Ettore Panighi. Tutto il lavoro di restauro è stato eseguito a regola d’arte dalla Ditta Vincenzo Bellini di Massa Lombarda e vi hanno contribuito con meravigliosa generosità tanti devoti cittadini di Massa Lombarda.

Monumenti

Bagnacavallo Piazza Nuova è la piazza ovale porticata edificata nel XVIII secolo come mercato, sede per macellerie, pescherie e botteghe dell’olio. Piazza Nuova, costruita nel 1758, è il primo esempio in Romagna di centro attrezzato per il commercio. Si tratta di un edificio unico nel suo genere per l’originalità e l’eleganza delle strutture. L’interno si sviluppa a loggia su pianta ellittica, con un susseguirsi di trenta archi a tutto sesto su pilastri squadrati. I due ingressi sono costituiti da due portali ad arco con frontoni ricurvi, cornici e cartelle a rilievo. L’edificio è in mattoni a vista, pavimentato in cotto e lastricato a ciottoli. Da sempre Piazza Nuova è la cornice ideale per manifestazioni di vario genere; negli ultimi anni ha ospitato rassegne cinematografiche estive, rassegne teatrali, feste, mostre, spettacoli musicali. Vittorio Gassman l’ha scelta per ambientarvi la lettura televisiva del primo canto dell’Inferno dantesco. Restaurata alla fine degli anni ’90, ora ospita un’osteria ed alcune botteghe artigiane.
Piazza Nuova
Piazza Nuova
Bagnacavallo Piazza Nuova è la piazza ovale porticata edificata nel XVIII secolo come mercato, sede per macellerie, pescherie e botteghe dell’olio. Piazza Nuova, costruita nel 1758, è il primo esempio in Romagna di centro attrezzato per il commercio. Si tratta di un edificio unico nel suo genere per l’originalità e l’eleganza delle strutture. L’interno si sviluppa a loggia su pianta ellittica, con un susseguirsi di trenta archi a tutto sesto su pilastri squadrati. I due ingressi sono costituiti da due portali ad arco con frontoni ricurvi, cornici e cartelle a rilievo. L’edificio è in mattoni a vista, pavimentato in cotto e lastricato a ciottoli. Da sempre Piazza Nuova è la cornice ideale per manifestazioni di vario genere; negli ultimi anni ha ospitato rassegne cinematografiche estive, rassegne teatrali, feste, mostre, spettacoli musicali. Vittorio Gassman l’ha scelta per ambientarvi la lettura televisiva del primo canto dell’Inferno dantesco. Restaurata alla fine degli anni ’90, ora ospita un’osteria ed alcune botteghe artigiane.
ROCCA SFORZESCA Il sistema difensivo di Bagnara, messo in atto da Barnabò Visconti nel Trecento, consisteva in un fossato che circondava una cinta muraria in cui era inserita la rocca. E’ l’unico esempio, in tutta la pianura emiliano-romagnola, di “castrum” medievale tuttora completo. L’attuale rocca sorse nel quindicesimo secolo sulle rovine della precedente. La sua ricostruzione richiese diversi decenni ed è forse dovuta ai signori che allora si avvicendarono nel dominio di Bagnara: il vescovo di Imola, i Manfredi, i Colleoni, Girolamo Riario e Caterina Sforza. Le ultime opere apportate furono il mastio, situato a ovest e risalente al 1479 e gli eleganti loggiati attribuiti alla stessa Caterina. Dopo l’effimera conquista di Cesare Borgia detto “il Valentino”, intorno all’anno 1500, a Bagnara seguirono alcuni decenni di instabilità, fino a quando la località tornò alla Santa Sede. La rocca divenne la residenza del commissario vescovo di Imola, per cui fu riconvertita a questa nuova funzione con la copertura in laterizio delle due torri e la sistemazione degli altri ambienti a destinazione civile. Nel Seicento fu anche soppresso il ponte levatoio, che collegava direttamente la rocca con l’esterno, e del quale sono tuttora visibili i ganci e lo scivolo. Dopo l’unità d’Italia fu acquistata dal Comune e adibita a varie destinazioni. Oltre al mastio, del quale si possono visitare la sommità, le casematte e il sotterraneo, merita uno sguardo anche l’altra torre, posta a est, che ricorda l’antica costruzione viscontea, un autentico gioiello. Si possono anche osservare le bocche da fuoco e i sistemi difensivi precedenti, l’elegante loggetta di Caterina, il cortile recentemente ripristinato e la sala di rappresentanza. Alle sue pareti sono appesi otto pregevoli quadri, opere del Seicento e del Settecento, lascito di un signore bolognese. Oggi ospita al suo interno il Museo del Castello, in cui si possono seguire percorsi che raccontano, anche grazie a preziosi reperti archeologici, la storia del territorio e dei suoi stili di vita sin dall’Età del Bronzo, oltre a memoria e racconti delle personalità dei Signori della Rocca.
Sforza Castle in Bagnara
3 Piazza IV Novembre
ROCCA SFORZESCA Il sistema difensivo di Bagnara, messo in atto da Barnabò Visconti nel Trecento, consisteva in un fossato che circondava una cinta muraria in cui era inserita la rocca. E’ l’unico esempio, in tutta la pianura emiliano-romagnola, di “castrum” medievale tuttora completo. L’attuale rocca sorse nel quindicesimo secolo sulle rovine della precedente. La sua ricostruzione richiese diversi decenni ed è forse dovuta ai signori che allora si avvicendarono nel dominio di Bagnara: il vescovo di Imola, i Manfredi, i Colleoni, Girolamo Riario e Caterina Sforza. Le ultime opere apportate furono il mastio, situato a ovest e risalente al 1479 e gli eleganti loggiati attribuiti alla stessa Caterina. Dopo l’effimera conquista di Cesare Borgia detto “il Valentino”, intorno all’anno 1500, a Bagnara seguirono alcuni decenni di instabilità, fino a quando la località tornò alla Santa Sede. La rocca divenne la residenza del commissario vescovo di Imola, per cui fu riconvertita a questa nuova funzione con la copertura in laterizio delle due torri e la sistemazione degli altri ambienti a destinazione civile. Nel Seicento fu anche soppresso il ponte levatoio, che collegava direttamente la rocca con l’esterno, e del quale sono tuttora visibili i ganci e lo scivolo. Dopo l’unità d’Italia fu acquistata dal Comune e adibita a varie destinazioni. Oltre al mastio, del quale si possono visitare la sommità, le casematte e il sotterraneo, merita uno sguardo anche l’altra torre, posta a est, che ricorda l’antica costruzione viscontea, un autentico gioiello. Si possono anche osservare le bocche da fuoco e i sistemi difensivi precedenti, l’elegante loggetta di Caterina, il cortile recentemente ripristinato e la sala di rappresentanza. Alle sue pareti sono appesi otto pregevoli quadri, opere del Seicento e del Settecento, lascito di un signore bolognese. Oggi ospita al suo interno il Museo del Castello, in cui si possono seguire percorsi che raccontano, anche grazie a preziosi reperti archeologici, la storia del territorio e dei suoi stili di vita sin dall’Età del Bronzo, oltre a memoria e racconti delle personalità dei Signori della Rocca.
Sant’Agata sul Santerno TORRE CIVICA La Torre Civica di Sant’Agata sul Santerno dell’orologio fu costruita sull’antica porta d’accesso al Castello medievale, sorto nei primi secoli dopo il 1000, secondo le fonti, per volere del Barbarossa. Le stesse fonti affermano che il Castello era cinto da solide mura con un grande fossato detto “la Fossa”. Dell’antico castello non rimase che uno solo dei due torrioni trasformato nell’ odierna torre dell’orologio probabilmente già prima del 1377. “La Porta”, come viene comunemente chiamata la Torre, è dotata di un grande arco, che immette nel piazzale della chiesa Arcipretale, e di una campana che fin dal 1487, era conosciuta come “la campana della ragione” perché veniva utilizzata per chiamare a raccolta i cittadini che governavano il paese e si dice che porti felicità a chi lo attraversa durante i rintocchi.
Torre dell'Orologio
4 Piazza Umberto I
Sant’Agata sul Santerno TORRE CIVICA La Torre Civica di Sant’Agata sul Santerno dell’orologio fu costruita sull’antica porta d’accesso al Castello medievale, sorto nei primi secoli dopo il 1000, secondo le fonti, per volere del Barbarossa. Le stesse fonti affermano che il Castello era cinto da solide mura con un grande fossato detto “la Fossa”. Dell’antico castello non rimase che uno solo dei due torrioni trasformato nell’ odierna torre dell’orologio probabilmente già prima del 1377. “La Porta”, come viene comunemente chiamata la Torre, è dotata di un grande arco, che immette nel piazzale della chiesa Arcipretale, e di una campana che fin dal 1487, era conosciuta come “la campana della ragione” perché veniva utilizzata per chiamare a raccolta i cittadini che governavano il paese e si dice che porti felicità a chi lo attraversa durante i rintocchi.
Rocca Estense di Lugo La Rocca Estense di Lugo rappresenta un’importante testimonianza nel campo dell’architettura fortificata che, particolarmente in Romagna, caratterizzò la formazione dei centri urbani a partire dal basso medioevo. Il periodo più significativo per lo sviluppo della fortificazione corrisponde comunque alla dominazione estense (1437 – 1598) durante la quale i connotati dell’apparato difensivo vennero profondamente modificati. Della Rocca quattrocentesca restano molte strutture seminascoste da altre più recenti: sono tutt’ora leggibili l’impianto quadrangolare, articolato sul cortile interno e parti cospicue delle torri.Torre Rocca estense di lugo L’aspetto attuale risale alla fine del ‘500, quando Alfonso II fece demolire la cittadella, divenuta superflua, riservando l’area resa libera alla fiera. Dopo il passaggio di Lugo alla Chiesa, la Rocca subì alcuni ampliamenti, conobbe una progressiva cancellazione delle caratteristiche castellane, culminate nella creazione del Giardino Pensile alla fine del XVIII secolo. Pur non essendo un giardino “storico”, il giardino della Rocca Estense, grazie alla cornice in cui è inserito, crea un ambiente estremamente suggestivo tale da evocare il ruolo, carico di simboli, che il giardino ha da sempre ricoperto nella storia e nei miti. Rappresentazione in miniatura del Cosmo o emblema del Paradiso (ancor più se “sospeso”, pensile), il giardino si ricollega alla fitta rete di simboli che il mondo vegetale ha suscitato nell’ immaginario umano. Risale soltanto ad una quarantina di anni fa il passaggio che oggi consente di accedere al giardino attraverso il cortile interno. La Rocca Estense è sede dell’Amministrazione comunale dal 1847 ed ha Sale di Rappresentanza di notevole interesse culturale e storico.
Rocca Estense
Piazza Francesco Baracca
Rocca Estense di Lugo La Rocca Estense di Lugo rappresenta un’importante testimonianza nel campo dell’architettura fortificata che, particolarmente in Romagna, caratterizzò la formazione dei centri urbani a partire dal basso medioevo. Il periodo più significativo per lo sviluppo della fortificazione corrisponde comunque alla dominazione estense (1437 – 1598) durante la quale i connotati dell’apparato difensivo vennero profondamente modificati. Della Rocca quattrocentesca restano molte strutture seminascoste da altre più recenti: sono tutt’ora leggibili l’impianto quadrangolare, articolato sul cortile interno e parti cospicue delle torri.Torre Rocca estense di lugo L’aspetto attuale risale alla fine del ‘500, quando Alfonso II fece demolire la cittadella, divenuta superflua, riservando l’area resa libera alla fiera. Dopo il passaggio di Lugo alla Chiesa, la Rocca subì alcuni ampliamenti, conobbe una progressiva cancellazione delle caratteristiche castellane, culminate nella creazione del Giardino Pensile alla fine del XVIII secolo. Pur non essendo un giardino “storico”, il giardino della Rocca Estense, grazie alla cornice in cui è inserito, crea un ambiente estremamente suggestivo tale da evocare il ruolo, carico di simboli, che il giardino ha da sempre ricoperto nella storia e nei miti. Rappresentazione in miniatura del Cosmo o emblema del Paradiso (ancor più se “sospeso”, pensile), il giardino si ricollega alla fitta rete di simboli che il mondo vegetale ha suscitato nell’ immaginario umano. Risale soltanto ad una quarantina di anni fa il passaggio che oggi consente di accedere al giardino attraverso il cortile interno. La Rocca Estense è sede dell’Amministrazione comunale dal 1847 ed ha Sale di Rappresentanza di notevole interesse culturale e storico.
Lavezzola DART “Domus delle Arti, delle Relazioni e del Turismo” VILLA VERLICCHI DART “Domus delle Arti, delle Relazioni e del Turismo” è il nuovo spazio culturale del Comune di Conselice, realizzato all’interno di Villa Verlicchi a Lavezzola di Conselice: un luogo interamente dedicato all’arte e alla cultura , con particolare attenzione all’arte contemporanea, capace di ospitare eventi, mostre e iniziative culturali a 360 gradi, dalla facilitazione dell’incontro tra artisti e cittadini, allo sviluppo di nuove idee progettuali. Piano terra Oltre all’ampio spazio centrale disponibile per le esposizioni e le iniziative pubbliche, è presente un centro accoglienza e info point ed è allestito il Museo del libro d’artista (CABA). Inoltre è un centro di aggregazione per lo sport, animato dall’attività di alcune associazioni sportive locali e un centro di aggregazione per il tempo libero, destinato ad attività ludiche, espressive e ricreative per tutte le età. Primo e secondo piano Un centro polivalente di servizi culturali e che ospita il progetto artistico di CRAC (Centro in Romagna Ricerca Arte Contemporanea), associazione che realizza un progetto culturale innovativo incentrato principalmente sull’arte contemporanea in tutte le sue forme ed espressioni. L’associazione ha la sede e propri spazi al secondo piano, mentre al primo piano è possibile organizzare mostre ed esposizioni artistiche temporanee aperte al pubblico. Sempre al primo piano è allestita una Mediateca per la raccolta, produzione e proiezione di materiali multimediali. DART prevede inoltre di ampliare la propria offerta di servizi con attività, iniziative ed eventi all’aperto, nella splendida cornice dello storico giardino all’italiana della villa. VILLA VERLICCHI: CENNI STORICI Villa Verlicchi è situata in via Bastia 71, nel centro storico di Lavezzola. Villa Verlicchi, realizzata presumibilmente fra il 1876 e il 1882 (sul sedime di una residenza padronale agricola preesistente) da Antonio Compagnoni (agrario, detto Tonino), diventa nel 1934 proprietà della Famiglia Verlicchi. I Verlicchi, erano una delle famiglie benestanti, possidenti di terreni e attività agricole assieme ai Fernè, ai Conti Manzoni e ai Facchini nelle zone comprese tra Argenta, Lavezzola e Lugo nel primo Novecento. La Villa rimase residenza della famiglia Verlicchi anche nel dopoguerra fino all’acquisizione da parte del Comune di Conselice. L’attuale via Pasi era una carraia che divideva la Villa ed il relativo parco recintato dallo stabilimento per la conservazione e il commercio dei prodotti ortofrutticoli di proprietà Verlicchi. Nel secondo dopoguerra tale attività era particolarmente fiorente e caratterizzava i dintorni anche per la presenza della Villa Fernè con analoghi edifici ad uso magazzino-frigo posizionati all’interno del parco. Nel 1975 la Villa, insieme al parco ed i relativi edifici annessi, viene acquistata dal Comune di Conselice; completamente ristrutturata e utilizzata dal 1976 al 2010 come asilo nido comunale, mentre gli edifici pertinenziali saranno restaurati nel 2003 e dati in gestione ad un centro ricreativo per anziani. Dal 2008 la Villa ed il relativo parco sono inutilizzati perché l’Asilo è stato trasferito in un moderno edificio progettato per tale funzione a pochi passi dal sito in oggetto.
DART - DOMUS DELLE ARTI, DELLE RELAZIONI E DEL TURISMO PRESSO VILLA VERLICCHI
96 Via Bastia
Lavezzola DART “Domus delle Arti, delle Relazioni e del Turismo” VILLA VERLICCHI DART “Domus delle Arti, delle Relazioni e del Turismo” è il nuovo spazio culturale del Comune di Conselice, realizzato all’interno di Villa Verlicchi a Lavezzola di Conselice: un luogo interamente dedicato all’arte e alla cultura , con particolare attenzione all’arte contemporanea, capace di ospitare eventi, mostre e iniziative culturali a 360 gradi, dalla facilitazione dell’incontro tra artisti e cittadini, allo sviluppo di nuove idee progettuali. Piano terra Oltre all’ampio spazio centrale disponibile per le esposizioni e le iniziative pubbliche, è presente un centro accoglienza e info point ed è allestito il Museo del libro d’artista (CABA). Inoltre è un centro di aggregazione per lo sport, animato dall’attività di alcune associazioni sportive locali e un centro di aggregazione per il tempo libero, destinato ad attività ludiche, espressive e ricreative per tutte le età. Primo e secondo piano Un centro polivalente di servizi culturali e che ospita il progetto artistico di CRAC (Centro in Romagna Ricerca Arte Contemporanea), associazione che realizza un progetto culturale innovativo incentrato principalmente sull’arte contemporanea in tutte le sue forme ed espressioni. L’associazione ha la sede e propri spazi al secondo piano, mentre al primo piano è possibile organizzare mostre ed esposizioni artistiche temporanee aperte al pubblico. Sempre al primo piano è allestita una Mediateca per la raccolta, produzione e proiezione di materiali multimediali. DART prevede inoltre di ampliare la propria offerta di servizi con attività, iniziative ed eventi all’aperto, nella splendida cornice dello storico giardino all’italiana della villa. VILLA VERLICCHI: CENNI STORICI Villa Verlicchi è situata in via Bastia 71, nel centro storico di Lavezzola. Villa Verlicchi, realizzata presumibilmente fra il 1876 e il 1882 (sul sedime di una residenza padronale agricola preesistente) da Antonio Compagnoni (agrario, detto Tonino), diventa nel 1934 proprietà della Famiglia Verlicchi. I Verlicchi, erano una delle famiglie benestanti, possidenti di terreni e attività agricole assieme ai Fernè, ai Conti Manzoni e ai Facchini nelle zone comprese tra Argenta, Lavezzola e Lugo nel primo Novecento. La Villa rimase residenza della famiglia Verlicchi anche nel dopoguerra fino all’acquisizione da parte del Comune di Conselice. L’attuale via Pasi era una carraia che divideva la Villa ed il relativo parco recintato dallo stabilimento per la conservazione e il commercio dei prodotti ortofrutticoli di proprietà Verlicchi. Nel secondo dopoguerra tale attività era particolarmente fiorente e caratterizzava i dintorni anche per la presenza della Villa Fernè con analoghi edifici ad uso magazzino-frigo posizionati all’interno del parco. Nel 1975 la Villa, insieme al parco ed i relativi edifici annessi, viene acquistata dal Comune di Conselice; completamente ristrutturata e utilizzata dal 1976 al 2010 come asilo nido comunale, mentre gli edifici pertinenziali saranno restaurati nel 2003 e dati in gestione ad un centro ricreativo per anziani. Dal 2008 la Villa ed il relativo parco sono inutilizzati perché l’Asilo è stato trasferito in un moderno edificio progettato per tale funzione a pochi passi dal sito in oggetto.
Il lavatoio di Massa Lombarda L’antico lavatoio di Massa Lombarda è una grande vasca d’acqua, coperta da una tettoia retta da sedici pilastri. Alimentato dal Canale dei Mulini, il manufatto, simbolo del faticoso lavoro delle lavandaie, testimonia momenti di vita sociale delle generazioni passate. Fu ricostruito nel 1948, diverso e più ampio dell’originale distrutto dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, presente sul territorio almeno dalla fine degli anni ’20 come testimoniano alcune foto dall’archivio storico del comune di Massa Lombarda. Nel Canale dei Mulini che porta acqua solo fino a Massa Lombarda, dove un ramo alimenta il lavatoio pubblico e un secondo ramo si stacca dal corso principale prima dell’abitato e ritorna nel Santerno, nel tratto da Massa Lombarda a Lavezzola non scorre più acqua dagli anni novanta del XX secolo. Oggi l’antico lavatoio è un luogo di incontro per performance teatrali, narrazioni, musica, poesia.
Lavatoio
46 Via Imola
Il lavatoio di Massa Lombarda L’antico lavatoio di Massa Lombarda è una grande vasca d’acqua, coperta da una tettoia retta da sedici pilastri. Alimentato dal Canale dei Mulini, il manufatto, simbolo del faticoso lavoro delle lavandaie, testimonia momenti di vita sociale delle generazioni passate. Fu ricostruito nel 1948, diverso e più ampio dell’originale distrutto dai bombardamenti del secondo conflitto mondiale, presente sul territorio almeno dalla fine degli anni ’20 come testimoniano alcune foto dall’archivio storico del comune di Massa Lombarda. Nel Canale dei Mulini che porta acqua solo fino a Massa Lombarda, dove un ramo alimenta il lavatoio pubblico e un secondo ramo si stacca dal corso principale prima dell’abitato e ritorna nel Santerno, nel tratto da Massa Lombarda a Lavezzola non scorre più acqua dagli anni novanta del XX secolo. Oggi l’antico lavatoio è un luogo di incontro per performance teatrali, narrazioni, musica, poesia.

Musei

Alfonsine Casa natale del poeta Vincenzo Monti, databile alla metà del ‘700, di recente completamente restaurata e adibita a museo. La casa, fuori dall’abitato cittadino in una località anticamente denominata “Ortazzo”, risale alla metà del XVIII secolo e fu fatta costruire da Fedele Maria Monti, padre del celebre poeta neoclassico Vincenzo. Esternamente si presenta come un edificio colonico, strutturato su due piani, alle cui pareti è possibile ammirare numerose lapidi commemorative. Una volta entrati, un’ampia scala conduce al piano superiore dove è stato collocato il Museo montiano articolato su tre sale: la Sala della culla, dove sono conservati mobili d’epoca, la Sala dei documenti, dove sono esposte numerose editio princeps di notevole rarità e la Saletta Montiana, dove si conservano un prezioso busto marmoreo del ‘700, vari cimeli appartenuti al poeta e alcuni autografi del Monti e della figlia Costanza. Al piano terra della casa è stato allestito il Punto Informativo del Parco del Delta e della Riserva di Alfonsine ad una sala didattica attrezzata dove spesso si tengono iniziative di carattere sia culturale che ambientale. COMITATO MONTIANO ALFONSINE Comitato composto da amanti della letteratura che da anni lavora per mantenere viva l’attenzione sul poeta neoclassico alfonsinese, organizza numerose iniziative culturali di rilievo e gestisce il Museo Montiano a Casa Monti. Il Comitato Montiano ormai da diversi anni è fortemente impegnato in ambito culturale, collaborando strettamente con l’Ufficio Servizi Culturali del Comune di Alfonsine. Esso promuove una serie di attività, quali convegni, tavole rotonde, premi letterari e pubblicazioni, volte non solo a valorizzare la figura del poeta alfonsinese Vincenzo Monti, ma a promuovere la cultura, nel senso più ampio del termine. Annualmente il Comitato Montiano pubblica un numero de “I quaderni Alfonsinesi”, periodico che si occupa di studi locali e tradizioni romagnole, organizza eventi per ricordare gli anniversari della nascita e della morte del poeta e gestisce l’Università Popolare per Adulti.
Casa Museo Vincenzo Monti
1 Via Passetto
Alfonsine Casa natale del poeta Vincenzo Monti, databile alla metà del ‘700, di recente completamente restaurata e adibita a museo. La casa, fuori dall’abitato cittadino in una località anticamente denominata “Ortazzo”, risale alla metà del XVIII secolo e fu fatta costruire da Fedele Maria Monti, padre del celebre poeta neoclassico Vincenzo. Esternamente si presenta come un edificio colonico, strutturato su due piani, alle cui pareti è possibile ammirare numerose lapidi commemorative. Una volta entrati, un’ampia scala conduce al piano superiore dove è stato collocato il Museo montiano articolato su tre sale: la Sala della culla, dove sono conservati mobili d’epoca, la Sala dei documenti, dove sono esposte numerose editio princeps di notevole rarità e la Saletta Montiana, dove si conservano un prezioso busto marmoreo del ‘700, vari cimeli appartenuti al poeta e alcuni autografi del Monti e della figlia Costanza. Al piano terra della casa è stato allestito il Punto Informativo del Parco del Delta e della Riserva di Alfonsine ad una sala didattica attrezzata dove spesso si tengono iniziative di carattere sia culturale che ambientale. COMITATO MONTIANO ALFONSINE Comitato composto da amanti della letteratura che da anni lavora per mantenere viva l’attenzione sul poeta neoclassico alfonsinese, organizza numerose iniziative culturali di rilievo e gestisce il Museo Montiano a Casa Monti. Il Comitato Montiano ormai da diversi anni è fortemente impegnato in ambito culturale, collaborando strettamente con l’Ufficio Servizi Culturali del Comune di Alfonsine. Esso promuove una serie di attività, quali convegni, tavole rotonde, premi letterari e pubblicazioni, volte non solo a valorizzare la figura del poeta alfonsinese Vincenzo Monti, ma a promuovere la cultura, nel senso più ampio del termine. Annualmente il Comitato Montiano pubblica un numero de “I quaderni Alfonsinesi”, periodico che si occupa di studi locali e tradizioni romagnole, organizza eventi per ricordare gli anniversari della nascita e della morte del poeta e gestisce l’Università Popolare per Adulti.
Massa Lombarda Il Museo dedicato a Carlo Venturini, si trova all’interno del Centro Culturale che ospita anche la Biblioteca e la Pinacoteca. La collezione presenta caratteristiche di grande varietà e eterogeneità: unisce, infatti, nuclei omogenei di materiali archeologici, naturalistici, oggetti strani e curiosi. La figura di Carlo Venturini per la storia e la cultura massese riveste un ruolo di tutto rilievo, non solo perché al suo nome si lega l’esistenza della biblioteca comunale che trae origine proprio da un nucleo librario appartenuto al Venturini, ma anche perché la sua collezione rappresenta un esemplare spaccato delle vicende, criteri e motivazioni ideologiche che animarono il collezionismo antiquario ottocentesco. Carlo Venturini ebbe una vita intensa e movimentata come medico e diplomatico onorario. L’associazione a diverse Accademie e Società Scientifiche e Culturali, una fitta rete di contatti con studiosi e diplomatici, le numerose onorificenze assegnategli da vari governi concorrono a delineare una figura di filantropo e collezionista originale, e nello stesso tempo culturalmente consapevole, che instancabilmente raccoglie oggetti e documenti d’arte e archeologia, reperti naturalistici e libri con l’intento di farne un museo da offrire alla sua città. Sezioni del Centro Culturale: > Biblioteca “Carlo Venturini”, con sala lettura e consultazione, possibilità di prestito e collegamento a internet. Biblioteca “Il Signor Oreste” con una ricca sezione di libri per ragazzi. > Emeroteca con sala lettura quotidiani, riviste e periodici > Sala studio “Manuela Geminiani”: la sala ospita diverse postazioni per lo studio e la lettura in sede; nella sala sono disponibili per il prestito e la consultazione testi di interesse sociologico, psicologico, storico e geografico. > Laboratorio multimediale “G. Sangiorgi” dotato di sala conferenze, proiezioni, didattica, aula multimediale. > Fondo storico: Presso la biblioteca è conservato un fondo librario di circa 10.000 volumi, tra i quali anche circa 230 tra cinquecentine e seicentine, molti dei quali donati al Comune da Carlo Venturini; i libri conservati presso fondo storico sono consultabili in sede per motivi di studio, ricerca e documentazione. > Museo “Carlo Venturini” con esposizione di reperti archeologici, mineralogici, ceramici, artistici e iconografici ed oggetti strani e curiosi. > Pinacoteca Comunale con una ricca collezione di opere grafiche e pittoriche costituita grazie all’interesse di collezionisti, artisti ed istituzioni massesi che hanno valorizzato nel tempo il prezioso nucleo di opere del pittore Gian Battista Bassi, la cospicua donazione del medico Carlo Venturini, le rinomate tele di Angelo Torchi ed alcune interessanti opere provenienti da enti religiosi. La maggior parte delle opere risale al XIX e XX secolo, ma sono presenti anche alcuni pezzi più antichi del ‘600-‘700.
Centro Culturale Carlo Venturini
2 Viale G. Zaganelli
Massa Lombarda Il Museo dedicato a Carlo Venturini, si trova all’interno del Centro Culturale che ospita anche la Biblioteca e la Pinacoteca. La collezione presenta caratteristiche di grande varietà e eterogeneità: unisce, infatti, nuclei omogenei di materiali archeologici, naturalistici, oggetti strani e curiosi. La figura di Carlo Venturini per la storia e la cultura massese riveste un ruolo di tutto rilievo, non solo perché al suo nome si lega l’esistenza della biblioteca comunale che trae origine proprio da un nucleo librario appartenuto al Venturini, ma anche perché la sua collezione rappresenta un esemplare spaccato delle vicende, criteri e motivazioni ideologiche che animarono il collezionismo antiquario ottocentesco. Carlo Venturini ebbe una vita intensa e movimentata come medico e diplomatico onorario. L’associazione a diverse Accademie e Società Scientifiche e Culturali, una fitta rete di contatti con studiosi e diplomatici, le numerose onorificenze assegnategli da vari governi concorrono a delineare una figura di filantropo e collezionista originale, e nello stesso tempo culturalmente consapevole, che instancabilmente raccoglie oggetti e documenti d’arte e archeologia, reperti naturalistici e libri con l’intento di farne un museo da offrire alla sua città. Sezioni del Centro Culturale: > Biblioteca “Carlo Venturini”, con sala lettura e consultazione, possibilità di prestito e collegamento a internet. Biblioteca “Il Signor Oreste” con una ricca sezione di libri per ragazzi. > Emeroteca con sala lettura quotidiani, riviste e periodici > Sala studio “Manuela Geminiani”: la sala ospita diverse postazioni per lo studio e la lettura in sede; nella sala sono disponibili per il prestito e la consultazione testi di interesse sociologico, psicologico, storico e geografico. > Laboratorio multimediale “G. Sangiorgi” dotato di sala conferenze, proiezioni, didattica, aula multimediale. > Fondo storico: Presso la biblioteca è conservato un fondo librario di circa 10.000 volumi, tra i quali anche circa 230 tra cinquecentine e seicentine, molti dei quali donati al Comune da Carlo Venturini; i libri conservati presso fondo storico sono consultabili in sede per motivi di studio, ricerca e documentazione. > Museo “Carlo Venturini” con esposizione di reperti archeologici, mineralogici, ceramici, artistici e iconografici ed oggetti strani e curiosi. > Pinacoteca Comunale con una ricca collezione di opere grafiche e pittoriche costituita grazie all’interesse di collezionisti, artisti ed istituzioni massesi che hanno valorizzato nel tempo il prezioso nucleo di opere del pittore Gian Battista Bassi, la cospicua donazione del medico Carlo Venturini, le rinomate tele di Angelo Torchi ed alcune interessanti opere provenienti da enti religiosi. La maggior parte delle opere risale al XIX e XX secolo, ma sono presenti anche alcuni pezzi più antichi del ‘600-‘700.
Villanova di Bagnacavallo L’Ecomuseo delle Erbe Palustri di Villanova di Bagnacavallo è organizzato in varie sezioni espositive e comprende sale didattiche e multimediali. Il museo espone una ricca collezione di manufatti e attrezzature legati alla lavorazione e intreccio delle erbe palustri e del legno nostrano, caratteristica del paese di Villanova fino agli anni Sessanta del Novecento. Per saperne di più… Oltre al museo, il centro dispone, nel giardino esterno, di un Etnoparco “Villanova delle capanne” in cui sono state ricostruite tutte le tipologie di capanni classici romagnoli in canna palustre. Servizi offerti dal Museo: visite guidate, visite scolastiche e itinerari didattici su appuntamento, escursioni per gruppi su appuntamento, laboratorio didattico della lavorazione delle cinque erbe.
6 yerel halk öneriyor
Ecomuseum Palustri Herbs
1 Via Giuseppe Ungaretti
6 yerel halk öneriyor
Villanova di Bagnacavallo L’Ecomuseo delle Erbe Palustri di Villanova di Bagnacavallo è organizzato in varie sezioni espositive e comprende sale didattiche e multimediali. Il museo espone una ricca collezione di manufatti e attrezzature legati alla lavorazione e intreccio delle erbe palustri e del legno nostrano, caratteristica del paese di Villanova fino agli anni Sessanta del Novecento. Per saperne di più… Oltre al museo, il centro dispone, nel giardino esterno, di un Etnoparco “Villanova delle capanne” in cui sono state ricostruite tutte le tipologie di capanni classici romagnoli in canna palustre. Servizi offerti dal Museo: visite guidate, visite scolastiche e itinerari didattici su appuntamento, escursioni per gruppi su appuntamento, laboratorio didattico della lavorazione delle cinque erbe.
Bagnacavallo Il Museo Civico Le Cappuccine di Bagnacavallo è situato nell’ex convento delle suore Cappuccine che ospita al suo interno: la Biblioteca “G. Taroni” con l’Archivio Storico, la Pinacoteca Antica e Moderna e il Gabinetto delle stampe antiche e moderne. Le opere d’arte e, in genere, i pezzi che costituiscono le varie raccolte hanno provenienze diverse. I nuclei più consistenti sono quelli provenienti dal patrimonio delle Opere Pie Raggruppate, dalle chiese chiuse al culto o distrutte e da donazioni private. All’interno del Museo si trovano le seguenti sezioni: – Pinacoteca antica e moderna presenta una collezione di opere antiche suddivisa in diverse sezioni: la sezione di arte antica, con opere datate fra il XV e il XVIII secolo e concentrate nel prestigioso spazio della Sala delle Capriate. La sezione di arte moderna, invece, comprende oltre a dipinti di una cinquantina di artisti nazionali, anche l’archivio Enzo Morelli ed, infine, una sezione dedicata ad opere scultoree sempre di autori italiani. Tra i dipinti della sezione antica ricordiamo tra i più significativi la pala d’altare di Bartolomeo Ramenghi e dello stesso pittore lo “Sposalizio mistico di Santa Caterina”; mentre del figlio, Giovan Battista Ramenghi, è la “Sacra Conversazione coi santi Domenico e Caterina da Siena”. – Gabinetto delle stampe antiche e moderne che unisce la ricchezza del Fondo Storico annesso alla Biblioteca Comunale a un’altra preziosa e consistente donazione lasciata al Centro Culturale nel 1986 da Emilio Ferroni, collezionista parmense di origini bagnacavallesi. Il Fondo delle Stampe Antiche comprende più di 1.000 fogli tra i quali opere di incisori famosi quali Dürer, Stefano della Bella, William Hogarth, Jean George Willie, Charles Clement Bervic ed altri, mentre il Gabinetto delle Stampe Moderne comprende 12.000 fogli acquisiti per donazione dei singoli autori, che è possibile consultare online grazie al progetto Repertorio Digitale dell’Incisione Italiana Contemporanea, uno strumento che si prefigge lo scopo di offrire al pubblico uno spaccato il più possibile completo e rappresentativo dell’incisione contemporanea in Italia. Legato al Gabinetto delle Stampe esiste anche un piccolo Laboratorio Calcografico, dedicato ad Armando Donna, maestro piemontese che ha donato al Centro Culturale il torchio, gli strumenti ed altri cimeli.
Museo Civico delle Cappuccine
1/a Via Vittorio Veneto
Bagnacavallo Il Museo Civico Le Cappuccine di Bagnacavallo è situato nell’ex convento delle suore Cappuccine che ospita al suo interno: la Biblioteca “G. Taroni” con l’Archivio Storico, la Pinacoteca Antica e Moderna e il Gabinetto delle stampe antiche e moderne. Le opere d’arte e, in genere, i pezzi che costituiscono le varie raccolte hanno provenienze diverse. I nuclei più consistenti sono quelli provenienti dal patrimonio delle Opere Pie Raggruppate, dalle chiese chiuse al culto o distrutte e da donazioni private. All’interno del Museo si trovano le seguenti sezioni: – Pinacoteca antica e moderna presenta una collezione di opere antiche suddivisa in diverse sezioni: la sezione di arte antica, con opere datate fra il XV e il XVIII secolo e concentrate nel prestigioso spazio della Sala delle Capriate. La sezione di arte moderna, invece, comprende oltre a dipinti di una cinquantina di artisti nazionali, anche l’archivio Enzo Morelli ed, infine, una sezione dedicata ad opere scultoree sempre di autori italiani. Tra i dipinti della sezione antica ricordiamo tra i più significativi la pala d’altare di Bartolomeo Ramenghi e dello stesso pittore lo “Sposalizio mistico di Santa Caterina”; mentre del figlio, Giovan Battista Ramenghi, è la “Sacra Conversazione coi santi Domenico e Caterina da Siena”. – Gabinetto delle stampe antiche e moderne che unisce la ricchezza del Fondo Storico annesso alla Biblioteca Comunale a un’altra preziosa e consistente donazione lasciata al Centro Culturale nel 1986 da Emilio Ferroni, collezionista parmense di origini bagnacavallesi. Il Fondo delle Stampe Antiche comprende più di 1.000 fogli tra i quali opere di incisori famosi quali Dürer, Stefano della Bella, William Hogarth, Jean George Willie, Charles Clement Bervic ed altri, mentre il Gabinetto delle Stampe Moderne comprende 12.000 fogli acquisiti per donazione dei singoli autori, che è possibile consultare online grazie al progetto Repertorio Digitale dell’Incisione Italiana Contemporanea, uno strumento che si prefigge lo scopo di offrire al pubblico uno spaccato il più possibile completo e rappresentativo dell’incisione contemporanea in Italia. Legato al Gabinetto delle Stampe esiste anche un piccolo Laboratorio Calcografico, dedicato ad Armando Donna, maestro piemontese che ha donato al Centro Culturale il torchio, gli strumenti ed altri cimeli.
Cotignola Museo Civico Luigi Varoli Il Museo Civico Luigi Varoli è un museo dislocato in più sedi comprese tra Palazzo Sforza, Casa Varoli e Casa Magnani. La tipologia delle collezioni, nata e costruitasi intorno alla donazione Varoli, che costituisce il cuore pulsante delle raccolte, abbraccia anche una sezione archeologica e la casa di Arialdo Magnani, un artista che fu allievo del maestro cotignolese. L'eterogeneità delle collezioni risponde e corrisponde allo sguardo curioso ed inquieto che ha caratterizzato e attraversato la vita e le opere di Luigi Varoli, pittore, scultore (terracotta, cartapesta e ferro), musicista, maestro d'arte (e di vita) per adulti e bambini, in qualche modo archeologo e conservatore, raccoglitore di piccole mirabilia, uomo "giusto". Un fare urgente, febbrile e quotidiano il suo, imprescindibile dall'artigianalità e dal mestiere inteso come dialettica tra sapere antico e sperimentazione, filtrato da un approccio quasi animista nei confronti delle cose e dei materiali. Una ricchezza catturata, trattenuta e custodita gelosamente dai due luoghi che ne conservano memoria e lavoro: il Museo al primo piano di Palazzo Sforza e la Casa Varoli, che si trova esattamente di fronte. Nella prima sede il percorso si costruisce e dipana intorno alle opere del maestro, i bellissimi mascheroni in cartapesta raffiguranti personaggi cotignolesi catturati in un periodo di grande povertà e umanità che è quello dell''immediato dopoguerra, la ritrattistica, sia pittorica che scultorea (terracotta, legno), gli autoritratti, i nudini e altri piccoli quadri intimi e privati, con pennellata infuocata, bruciante ed espressionista, dipinti estremamente vivaci e felici nel gesto impetuoso, materico e quasi stenografico, e poi alcuni quadri di maggiori dimensioni e molto noti come il "Ritratto della pittrice (Olga Settembrini) " e "'Uomo con vesciche". casa-Varoli La Casa Varoli è un vero e proprio scrigno che riporta alle atmosfere della casa d'artista, quasi una wunderkammer, tra teschi e crani di animali, burattini, marionette, gessi, strumenti musicali, maschere, fotografie del primo novecento, ex voto, crocifissi lignei, mobili antichi e una piccola ma preziosa biblioteca in cui spiccano due libri originali di Depero, tra cui il Dinamo Azari (quello "rilegato" con i bulloni). Un luogo affascinante, intrigante ed un po' misterioso, che si estende nel grazioso giardino ricco di reperti, con un interessante, bizzarro ed insolito muro di cinta, ricco di sorprese incastonate tra i mattoni. La visita alla casa dell'artista permette quindi di completare il percorso avviato al Museo e di ben comprendere le differenti tensioni e contraddizioni che animavano l'impegno, la poetica e la vita del maestro, per certi versi scontroso, isolato e radicato ai suoi luoghi d'origine e appartenenza, eppur capace di mantenere contatti con autori internazionali come il già citato Depero, Moreni e con una schiera molto ampia di artisti che nella sua scuola si sono formati e incontrati animando un vero e proprio cenacolo. Una vocazione pedagogica, una generosità ed energia che ne hanno fatto un punto di riferimento per molti: ora artista, ora maestro, talvolta padre. Per visitare la sezione archeologica si deve invece tornare al primo piano di Palazzo Sforza (qui una madonna lignea) e nel suo giardino con l'importante e ben conservata stele romana di Caio Vario. L'ultima sede del museo è la casa di Magnani, pittore, poeta e ceramista, l'allievo più naif, e sognante di Luigi Varoli. Qui un piccolo mondo intatto, un teatro incantato, candido, felice, con lieve malinconia che veste e ammanta le piccole cose.
Museo Civico Luigi Varoli
21 e 24 Corso Sforza
Cotignola Museo Civico Luigi Varoli Il Museo Civico Luigi Varoli è un museo dislocato in più sedi comprese tra Palazzo Sforza, Casa Varoli e Casa Magnani. La tipologia delle collezioni, nata e costruitasi intorno alla donazione Varoli, che costituisce il cuore pulsante delle raccolte, abbraccia anche una sezione archeologica e la casa di Arialdo Magnani, un artista che fu allievo del maestro cotignolese. L'eterogeneità delle collezioni risponde e corrisponde allo sguardo curioso ed inquieto che ha caratterizzato e attraversato la vita e le opere di Luigi Varoli, pittore, scultore (terracotta, cartapesta e ferro), musicista, maestro d'arte (e di vita) per adulti e bambini, in qualche modo archeologo e conservatore, raccoglitore di piccole mirabilia, uomo "giusto". Un fare urgente, febbrile e quotidiano il suo, imprescindibile dall'artigianalità e dal mestiere inteso come dialettica tra sapere antico e sperimentazione, filtrato da un approccio quasi animista nei confronti delle cose e dei materiali. Una ricchezza catturata, trattenuta e custodita gelosamente dai due luoghi che ne conservano memoria e lavoro: il Museo al primo piano di Palazzo Sforza e la Casa Varoli, che si trova esattamente di fronte. Nella prima sede il percorso si costruisce e dipana intorno alle opere del maestro, i bellissimi mascheroni in cartapesta raffiguranti personaggi cotignolesi catturati in un periodo di grande povertà e umanità che è quello dell''immediato dopoguerra, la ritrattistica, sia pittorica che scultorea (terracotta, legno), gli autoritratti, i nudini e altri piccoli quadri intimi e privati, con pennellata infuocata, bruciante ed espressionista, dipinti estremamente vivaci e felici nel gesto impetuoso, materico e quasi stenografico, e poi alcuni quadri di maggiori dimensioni e molto noti come il "Ritratto della pittrice (Olga Settembrini) " e "'Uomo con vesciche". casa-Varoli La Casa Varoli è un vero e proprio scrigno che riporta alle atmosfere della casa d'artista, quasi una wunderkammer, tra teschi e crani di animali, burattini, marionette, gessi, strumenti musicali, maschere, fotografie del primo novecento, ex voto, crocifissi lignei, mobili antichi e una piccola ma preziosa biblioteca in cui spiccano due libri originali di Depero, tra cui il Dinamo Azari (quello "rilegato" con i bulloni). Un luogo affascinante, intrigante ed un po' misterioso, che si estende nel grazioso giardino ricco di reperti, con un interessante, bizzarro ed insolito muro di cinta, ricco di sorprese incastonate tra i mattoni. La visita alla casa dell'artista permette quindi di completare il percorso avviato al Museo e di ben comprendere le differenti tensioni e contraddizioni che animavano l'impegno, la poetica e la vita del maestro, per certi versi scontroso, isolato e radicato ai suoi luoghi d'origine e appartenenza, eppur capace di mantenere contatti con autori internazionali come il già citato Depero, Moreni e con una schiera molto ampia di artisti che nella sua scuola si sono formati e incontrati animando un vero e proprio cenacolo. Una vocazione pedagogica, una generosità ed energia che ne hanno fatto un punto di riferimento per molti: ora artista, ora maestro, talvolta padre. Per visitare la sezione archeologica si deve invece tornare al primo piano di Palazzo Sforza (qui una madonna lignea) e nel suo giardino con l'importante e ben conservata stele romana di Caio Vario. L'ultima sede del museo è la casa di Magnani, pittore, poeta e ceramista, l'allievo più naif, e sognante di Luigi Varoli. Qui un piccolo mondo intatto, un teatro incantato, candido, felice, con lieve malinconia che veste e ammanta le piccole cose.
Alfonsine MUSEO DELLA BATTAGLIA DEL SENIO Il Museo della battaglia del Senio di Alfonsine, ospitato in una struttura moderna nata nel 1981, conserva reperti che documentano la fase finale dell’attacco alla “Linea Gotica”. Il Museo, raccontando la storia delle popolazioni e dei paesi romagnoli che furono profondamente segnati da quegli eventi, rappresenta la volontà di trasmetterne la memoria e i valori. Il percorso espositivo pone particolare attenzione alla didattica grazie a una pannellistica di approfondimento, reperti che riguardano armamenti, cartografia militare, uniformi, bandiere e oggetti riconvertiti ad uso civile. Le fotografie illustrano le vicende militari e l’organizzazione della Resistenza locale. E’ possibile vedere il documentario di 30 minuti realizzato con filmati storici dagli archivi dell’Imperial War Museum, montati a Cinecittà e intitolato “La Battaglia del Senio”, contenente riprese effettuate dai cineoperatori inglesi in Romagna durante i mesi della Liberazione. Di particolare interesse è la camera emozionale “il Rifugio”. Inaugurata nel 2017, questa ricostruzione dell’interno di un rifugio, consente al visitatore di rivivere le sensazioni provate dai civili che cercavano riparo durante i bombardamenti aerei. E’ un’esperienza, di breve durata, ma intensa e suggestiva che, attraverso voci e rumori, riesce a far comprendere il dramma delle persone che in questi ripari di fortuna speravano di sopravvivere. Nei locali del Museo si trova anche la Biblioteca Comunale. Dal 1997 è stato trasferito ad Alfonsine l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Ravenna, con il suo archivio ricco di oltre 120.000 documenti, 470 periodici ed una biblioteca storica con oltre 5.000 volumi.
Museo della Battaglia del Senio
2 Piazza della Resistenza
Alfonsine MUSEO DELLA BATTAGLIA DEL SENIO Il Museo della battaglia del Senio di Alfonsine, ospitato in una struttura moderna nata nel 1981, conserva reperti che documentano la fase finale dell’attacco alla “Linea Gotica”. Il Museo, raccontando la storia delle popolazioni e dei paesi romagnoli che furono profondamente segnati da quegli eventi, rappresenta la volontà di trasmetterne la memoria e i valori. Il percorso espositivo pone particolare attenzione alla didattica grazie a una pannellistica di approfondimento, reperti che riguardano armamenti, cartografia militare, uniformi, bandiere e oggetti riconvertiti ad uso civile. Le fotografie illustrano le vicende militari e l’organizzazione della Resistenza locale. E’ possibile vedere il documentario di 30 minuti realizzato con filmati storici dagli archivi dell’Imperial War Museum, montati a Cinecittà e intitolato “La Battaglia del Senio”, contenente riprese effettuate dai cineoperatori inglesi in Romagna durante i mesi della Liberazione. Di particolare interesse è la camera emozionale “il Rifugio”. Inaugurata nel 2017, questa ricostruzione dell’interno di un rifugio, consente al visitatore di rivivere le sensazioni provate dai civili che cercavano riparo durante i bombardamenti aerei. E’ un’esperienza, di breve durata, ma intensa e suggestiva che, attraverso voci e rumori, riesce a far comprendere il dramma delle persone che in questi ripari di fortuna speravano di sopravvivere. Nei locali del Museo si trova anche la Biblioteca Comunale. Dal 1997 è stato trasferito ad Alfonsine l’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea della Provincia di Ravenna, con il suo archivio ricco di oltre 120.000 documenti, 470 periodici ed una biblioteca storica con oltre 5.000 volumi.
Lugo Museo storico dedicato a Francesco Baracca situato nella sua casa natale. Il palazzo, riedificato in stile liberty dalla famiglia, venne donato dal padre Enrico al Comune affinché fosse destinato a conservare i cimeli, oggetti appartenuti all’eroe e documenti d’epoca. Il museo ospita anche lo SPAD VII, aereo del 1917, sul quale Francesco Baracca conseguì una delle sue 34 vittorie. Su un fianco della fusoliera compare l’emblema personale del maggiore Baracca, il cavallino rampante, noto in tutto il mondo per essere stato adottato da Enzo Ferrari quale stemma delle vetture di Maranello. I lavori di consolidamento antisismico, durati un anno (da aprile 2014 fino a maggio 2015), hanno offerto l’occasione di offrire al pubblico un nuovo allestimento attraverso il quale la struttura diventa oggi una vera e propria casa-museo. Nel riaffermare i tre nuclei tematici su cui riposa la sua vocazione (storia, tecnica e mito), il rinnovato museo, che racchiude tra i 250 e i 300 cimeli direttamente legati a Francesco Baracca, si caratterizza per una maggiore attenzione alle nuove tecnologie. Simulatore di volo e spazi interattivi Tra le maggiori novità, l’installazione permanente di uno speciale simulatore di volo aperto al pubblico realizzato nell’ambito di ALISTO – Ali sulla storia, un progetto transfrontaliero triennale che attua sinergie tra ricerca storica e sviluppo di tecnologia software. Il simulatore ricrea il paesaggio storico con la mappatura sul modello digitale del terreno (DTM) delle foto aeree di guerra italiane e austro-ungariche e consente di vedere dall’alto sia il paesaggio degli anni 1915-18, sia quello di oggi, percependone i valori storici e le trasformazioni, constatando a colpo d’occhio le profonde trasformazioni subite in un secolo. Grande l’attenzione anche al contesto storico nel quale si inseriscono i primordi dell’aviazione, grazie all’esposizione di un nucleo significativo della “Collezione Baldini”, fondo di cartoline illustrate della Grande guerra di notevole pregio. Grazie al supporto di schermi e di una “campana sonora”, sarà possibile apprezzare il ricco apparato iconografico in dotazione agli archivi del museo e ascoltare l’orazione funebre di Gabriele d’Annunzio sul feretro di Francesco Baracca. Il rinnovato assetto del museo offrirà ai visitatori uno spazio più accogliente e interattivo, capace di interessare sia un pubblico adulto, sia la vasta platea di giovani e studenti, grazie ad alcune soluzioni legate alle nuove tecnologie. La riapertura, che si avvale del patrocinio di Palazzo Chigi – Struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale, si inserisce nelle iniziative per ricordare il centenario della Prima guerra mondiale. Sulle orme di Francesco Baracca – Itinerario cittadino Il Museo rappresenta, inoltre, il punto di partenza di un itinerario cittadino che comprende il Monumento, progettato e ultimato nel 1936 dallo scultore faentino Domenico Rambelli, giudicato una delle massime espressioni della scultura italiana del Novecento, e la Cappella sepolcrale, decorata dall’artista lughese Roberto Sella, collocata nel cimitero cittadino, al cui interno si può ammirare il maestoso sarcofago fuso col bronzo dei cannoni austriaci del Carso. Il museo opera in stretta collaborazione con l’associazione “Amici del Museo Francesco Baracca”, che ha finalità di ricerca storica e di promozione.
Museo Francesco Baracca
65 Via Francesco Baracca
Lugo Museo storico dedicato a Francesco Baracca situato nella sua casa natale. Il palazzo, riedificato in stile liberty dalla famiglia, venne donato dal padre Enrico al Comune affinché fosse destinato a conservare i cimeli, oggetti appartenuti all’eroe e documenti d’epoca. Il museo ospita anche lo SPAD VII, aereo del 1917, sul quale Francesco Baracca conseguì una delle sue 34 vittorie. Su un fianco della fusoliera compare l’emblema personale del maggiore Baracca, il cavallino rampante, noto in tutto il mondo per essere stato adottato da Enzo Ferrari quale stemma delle vetture di Maranello. I lavori di consolidamento antisismico, durati un anno (da aprile 2014 fino a maggio 2015), hanno offerto l’occasione di offrire al pubblico un nuovo allestimento attraverso il quale la struttura diventa oggi una vera e propria casa-museo. Nel riaffermare i tre nuclei tematici su cui riposa la sua vocazione (storia, tecnica e mito), il rinnovato museo, che racchiude tra i 250 e i 300 cimeli direttamente legati a Francesco Baracca, si caratterizza per una maggiore attenzione alle nuove tecnologie. Simulatore di volo e spazi interattivi Tra le maggiori novità, l’installazione permanente di uno speciale simulatore di volo aperto al pubblico realizzato nell’ambito di ALISTO – Ali sulla storia, un progetto transfrontaliero triennale che attua sinergie tra ricerca storica e sviluppo di tecnologia software. Il simulatore ricrea il paesaggio storico con la mappatura sul modello digitale del terreno (DTM) delle foto aeree di guerra italiane e austro-ungariche e consente di vedere dall’alto sia il paesaggio degli anni 1915-18, sia quello di oggi, percependone i valori storici e le trasformazioni, constatando a colpo d’occhio le profonde trasformazioni subite in un secolo. Grande l’attenzione anche al contesto storico nel quale si inseriscono i primordi dell’aviazione, grazie all’esposizione di un nucleo significativo della “Collezione Baldini”, fondo di cartoline illustrate della Grande guerra di notevole pregio. Grazie al supporto di schermi e di una “campana sonora”, sarà possibile apprezzare il ricco apparato iconografico in dotazione agli archivi del museo e ascoltare l’orazione funebre di Gabriele d’Annunzio sul feretro di Francesco Baracca. Il rinnovato assetto del museo offrirà ai visitatori uno spazio più accogliente e interattivo, capace di interessare sia un pubblico adulto, sia la vasta platea di giovani e studenti, grazie ad alcune soluzioni legate alle nuove tecnologie. La riapertura, che si avvale del patrocinio di Palazzo Chigi – Struttura di missione per gli anniversari di interesse nazionale, si inserisce nelle iniziative per ricordare il centenario della Prima guerra mondiale. Sulle orme di Francesco Baracca – Itinerario cittadino Il Museo rappresenta, inoltre, il punto di partenza di un itinerario cittadino che comprende il Monumento, progettato e ultimato nel 1936 dallo scultore faentino Domenico Rambelli, giudicato una delle massime espressioni della scultura italiana del Novecento, e la Cappella sepolcrale, decorata dall’artista lughese Roberto Sella, collocata nel cimitero cittadino, al cui interno si può ammirare il maestoso sarcofago fuso col bronzo dei cannoni austriaci del Carso. Il museo opera in stretta collaborazione con l’associazione “Amici del Museo Francesco Baracca”, che ha finalità di ricerca storica e di promozione.
Bagnara di Romagna MUSEO STORICO PIETRO MASCAGNI Situato nella canonica della chiesa Arcipretale San Giovanni Battista e Sant’ Andrea Apostolo, il museo storico Pietro Mascagni ospita alcuni cimeli del famoso musicista. Il Museo è sorto nel 1975 in seguito alla donazione della Signora Anna Lolli, di origine bagnarese ed ispiratrice del Maestro, alla Parrocchia. All’interno, vi è custodito il più importante epistolario del Maestro, consistente in circa 4600 lettere (datate dal 1910 al 1944), ordinate in 126 raccoglitori. Sono, inoltre, conservati diversi oggetti personali del compositore, numerosissime fotografie con dedica, un suo pianoforte, il calco funebre del suo volto, spartiti musicali, pubblicazioni relative al Musicista e ritagli di giornali dell’epoca.
Museo Mascagni
2 Piazza IV Novembre
Bagnara di Romagna MUSEO STORICO PIETRO MASCAGNI Situato nella canonica della chiesa Arcipretale San Giovanni Battista e Sant’ Andrea Apostolo, il museo storico Pietro Mascagni ospita alcuni cimeli del famoso musicista. Il Museo è sorto nel 1975 in seguito alla donazione della Signora Anna Lolli, di origine bagnarese ed ispiratrice del Maestro, alla Parrocchia. All’interno, vi è custodito il più importante epistolario del Maestro, consistente in circa 4600 lettere (datate dal 1910 al 1944), ordinate in 126 raccoglitori. Sono, inoltre, conservati diversi oggetti personali del compositore, numerosissime fotografie con dedica, un suo pianoforte, il calco funebre del suo volto, spartiti musicali, pubblicazioni relative al Musicista e ritagli di giornali dell’epoca.
Lugo CASA MUSEO GIOACHINO ROSSINI La Casa-Museo Gioachino Rossini è un edificio che fu abitato per lungo tempo dalla famiglia Rossini. Di proprietà del padre di Gioachino, la famiglia vi abitò fino al 1790. Di ritorno da Pesaro, città in cui i Rossini si era trasferiti, la casa era già stata occupata e quindi si stabilirono in un’altra casa nel lughese. Qui, nel 1992 sono stati celebrati i duecento anni dalla nascita, e la Casa, con il fondamentale contributo del Lions Club di Lugo, è divenuta sede di eventi culturali ed esposizioni d’arte. Nel 2018, durante l’anno rossiniano a 150 anni dalla scomparsa, ha preso corpo l’idea di trasformarla in museo dedicato al compositore, riallestito nel 2020. L’edificio, sito oggi ai margini del centro storico, sorgeva presso una delle antiche fosse che circondavano la città. Di modesta fattura e di piccole dimensioni fu per lungo tempo abitato dai Rossini. Da Gioachino Sante, il nonno, la casa passò nel 1787 a Giuseppe Antonio, il padre. Giuseppe Rossini, banditore trombetta del Comune di Lugo, vi abitò fino all’aprile 1790, quando si trasferì a Pesaro. Nel 1802, rientrando con la famiglia a Lugo, Giuseppe non si stabilì nella sua casa già occupata, ma in un piccolo edificio del centro, vicino all’abitazione dei canonici Giuseppe e Luigi Malerbi. Fu alla loro scuola che Gioachino avviò con sistematicità la propria formazione musicale e iniziò a comporre. Al periodo trascorso a Lugo, dal 1802 al 1804, risale anche l’amicizia con Luigi Crisostomo Ferrucci. Era il figlio di Violante Malerbi, il compagno di giochi, poi latinista e bibliotecario alla Laurenziana, l’amico carissimo che per lui compose l’epigrafe che campeggia sulla facciata della casa dal 1858: “Haec Domus Est / Ioachim. Rossini…”. Sappiamo che Gioachino Rossini anche nella maturità si era mostrato affezionato alla casa che aveva ereditato dal padre nel 1839: “Io ho casa a Lugo, la casa paterna, che non venderò mai, ma voglio sia conservata…” confidava a Filippo Mordani, a Firenze, nel 1855. Il percorso museale Il Museo Rossini è composto di cinque sale, un breve corridoio e una fascinosa, sebbene minuscola scala ‘biografica’, che porta al piano superiore della Casa. Il filo conduttore che accomuna gli spazi museali è la musica. Lungo un breve tratto di corridoio, il racconto biografico accompagna alla Stanza del prodigio , inaugurata già nel dicembre 2018. Qui si offre il primo gioiello della casa: l’ascolto delle Sei sonate a quattro, composte durante gli studi a Lugo. Non appena il visitatore apre uno dei quattro spartiti, appoggiati su altrettanti leggii al centro della sala, prende avvio la linea melodica corrispondente, mentre la partitura di riferimento s’illumina in grande formato sui pannelli alle pareti. Quando tutti gli spartiti siano aperti, la composizione risuona per intero e il visitatore si ritrova avvolto dalla musica. Il percorso continua al primo piano, con la Stanza della mappa : una distesa di cupole in cristallo, disposte lungo un sinuoso tavolo, disegna la grande mappa delle “geografie” di vita e lavoro del Maestro. Non appena si solleva una delle cupole, risuonano le note di una sua composizione. Di fronte, si entra nella Stanza della risonanza : una folata di parole sussurra ciò che scrittori, filosofi, musicisti e scienziati di tutto il mondo hanno detto di Rossini. Parole che trovano naturale riscontro nella piccola libreria sospesa, offerta alla consultazione. Ridiscesi al piano terra, si entra nell’ultimo spazio, la Stanza della dispensa . La ben nota passione di Rossini per la cucina affiora nei titoli dei suoi piccoli “peccati di vecchiaia”, composizioni spesso ironicamente intitolate a nocciole, rapanelli, sottaceti, fichi secchi e altro. Aprendo i cassetti della dispensa, ne scaturisce, in tutt’uno con la musica di Rossini, l’interpretazione visiva che ne dà Massimo Pulini, primo artista coinvolto nell’ambizioso progetto di tradurre in immagini le prelibatezze del Maestro.
Rossini Centro de Enseñanza Musical
2 R. Irmáns Carro
Lugo CASA MUSEO GIOACHINO ROSSINI La Casa-Museo Gioachino Rossini è un edificio che fu abitato per lungo tempo dalla famiglia Rossini. Di proprietà del padre di Gioachino, la famiglia vi abitò fino al 1790. Di ritorno da Pesaro, città in cui i Rossini si era trasferiti, la casa era già stata occupata e quindi si stabilirono in un’altra casa nel lughese. Qui, nel 1992 sono stati celebrati i duecento anni dalla nascita, e la Casa, con il fondamentale contributo del Lions Club di Lugo, è divenuta sede di eventi culturali ed esposizioni d’arte. Nel 2018, durante l’anno rossiniano a 150 anni dalla scomparsa, ha preso corpo l’idea di trasformarla in museo dedicato al compositore, riallestito nel 2020. L’edificio, sito oggi ai margini del centro storico, sorgeva presso una delle antiche fosse che circondavano la città. Di modesta fattura e di piccole dimensioni fu per lungo tempo abitato dai Rossini. Da Gioachino Sante, il nonno, la casa passò nel 1787 a Giuseppe Antonio, il padre. Giuseppe Rossini, banditore trombetta del Comune di Lugo, vi abitò fino all’aprile 1790, quando si trasferì a Pesaro. Nel 1802, rientrando con la famiglia a Lugo, Giuseppe non si stabilì nella sua casa già occupata, ma in un piccolo edificio del centro, vicino all’abitazione dei canonici Giuseppe e Luigi Malerbi. Fu alla loro scuola che Gioachino avviò con sistematicità la propria formazione musicale e iniziò a comporre. Al periodo trascorso a Lugo, dal 1802 al 1804, risale anche l’amicizia con Luigi Crisostomo Ferrucci. Era il figlio di Violante Malerbi, il compagno di giochi, poi latinista e bibliotecario alla Laurenziana, l’amico carissimo che per lui compose l’epigrafe che campeggia sulla facciata della casa dal 1858: “Haec Domus Est / Ioachim. Rossini…”. Sappiamo che Gioachino Rossini anche nella maturità si era mostrato affezionato alla casa che aveva ereditato dal padre nel 1839: “Io ho casa a Lugo, la casa paterna, che non venderò mai, ma voglio sia conservata…” confidava a Filippo Mordani, a Firenze, nel 1855. Il percorso museale Il Museo Rossini è composto di cinque sale, un breve corridoio e una fascinosa, sebbene minuscola scala ‘biografica’, che porta al piano superiore della Casa. Il filo conduttore che accomuna gli spazi museali è la musica. Lungo un breve tratto di corridoio, il racconto biografico accompagna alla Stanza del prodigio , inaugurata già nel dicembre 2018. Qui si offre il primo gioiello della casa: l’ascolto delle Sei sonate a quattro, composte durante gli studi a Lugo. Non appena il visitatore apre uno dei quattro spartiti, appoggiati su altrettanti leggii al centro della sala, prende avvio la linea melodica corrispondente, mentre la partitura di riferimento s’illumina in grande formato sui pannelli alle pareti. Quando tutti gli spartiti siano aperti, la composizione risuona per intero e il visitatore si ritrova avvolto dalla musica. Il percorso continua al primo piano, con la Stanza della mappa : una distesa di cupole in cristallo, disposte lungo un sinuoso tavolo, disegna la grande mappa delle “geografie” di vita e lavoro del Maestro. Non appena si solleva una delle cupole, risuonano le note di una sua composizione. Di fronte, si entra nella Stanza della risonanza : una folata di parole sussurra ciò che scrittori, filosofi, musicisti e scienziati di tutto il mondo hanno detto di Rossini. Parole che trovano naturale riscontro nella piccola libreria sospesa, offerta alla consultazione. Ridiscesi al piano terra, si entra nell’ultimo spazio, la Stanza della dispensa . La ben nota passione di Rossini per la cucina affiora nei titoli dei suoi piccoli “peccati di vecchiaia”, composizioni spesso ironicamente intitolate a nocciole, rapanelli, sottaceti, fichi secchi e altro. Aprendo i cassetti della dispensa, ne scaturisce, in tutt’uno con la musica di Rossini, l’interpretazione visiva che ne dà Massimo Pulini, primo artista coinvolto nell’ambizioso progetto di tradurre in immagini le prelibatezze del Maestro.

Fiume Lamone

PERCORSO CICLO-NATURALISTICO SULL’ARGINE DEL FIUME LAMONE Benvenuti sulla pista ciclo-pedonale lungo l’argine del fiume Lamone, un itinerario unico, da percorrere a ritmo lento, in bicicletta o a piedi, per vivere e scoprire la natura, la storia e le tradizioni di uno degli ambienti più magici d’Italia. Il Lamone interpretato come una via d’acqua che collega le bellezze storico-culturali dei Comuni di Russi e Bagnacavallo, ai suggestivi paesaggi naturali del Comune di Ravenna, per poi sfociare in mare tra Casalborsetti e Marina Romea.
1) Muraglione Questo sistema di cascatelle rappresenta i resti della chiusa che permetteva di alimentare un antico mulino di proprietà della famiglia Rasponi, e risalente al XII secolo. Un sistema di paratie in legno consentiva di innalzare il livello dell'acqua e di convogliarla in un canale che, dopo essere passato davanti a Palazzo San Giacomo, percorreva svariati chilometri prima di azionare con forza le macine da farina. Conosciuto negli anni ‘50 come la “spiaggia dei bagnacavallesi”, era punto d’in- contro per un bagno ristoratore, e ancora oggi è un luogo piuttosto frequentato per pescare o per piacevoli passeggiate. A lato del Muraglione sono visibili le vasche comunicanti della "Scala di risalita" per la fauna ittica, una struttura artificiale che consente ai pesci di superare il dislivello creato dalle cascate. Lungo i corsi fluviali, ove non sono presenti sbarramenti, i pesci si spostano da un luogo all’altro, a seconda della stagione o dello stadio vitale raggiunto, alla ricerca dei siti migliori per la ricerca di cibo e/o per la riproduzione. Basti pensare ai grandi migratori come le anguille, gli storioni o semplicemente alle numerose specie che si spostano per tratti più brevi, come la lasca, il cavedano o la carpa. Quando però, il corso d’acqua è interrotto da dighe ed argini, che costituiscono barriere invalicabili per la migrazione delle specie ittiche, si possono realizzare i “passaggi per pesci”, opere fondamentali per il mantenimento dello stato di salute dei fiumi, poichè ripristinano la naturale connessione tra i vari habitat fluviali.
Traversa Mulino
Traversa Mulino
1) Muraglione Questo sistema di cascatelle rappresenta i resti della chiusa che permetteva di alimentare un antico mulino di proprietà della famiglia Rasponi, e risalente al XII secolo. Un sistema di paratie in legno consentiva di innalzare il livello dell'acqua e di convogliarla in un canale che, dopo essere passato davanti a Palazzo San Giacomo, percorreva svariati chilometri prima di azionare con forza le macine da farina. Conosciuto negli anni ‘50 come la “spiaggia dei bagnacavallesi”, era punto d’in- contro per un bagno ristoratore, e ancora oggi è un luogo piuttosto frequentato per pescare o per piacevoli passeggiate. A lato del Muraglione sono visibili le vasche comunicanti della "Scala di risalita" per la fauna ittica, una struttura artificiale che consente ai pesci di superare il dislivello creato dalle cascate. Lungo i corsi fluviali, ove non sono presenti sbarramenti, i pesci si spostano da un luogo all’altro, a seconda della stagione o dello stadio vitale raggiunto, alla ricerca dei siti migliori per la ricerca di cibo e/o per la riproduzione. Basti pensare ai grandi migratori come le anguille, gli storioni o semplicemente alle numerose specie che si spostano per tratti più brevi, come la lasca, il cavedano o la carpa. Quando però, il corso d’acqua è interrotto da dighe ed argini, che costituiscono barriere invalicabili per la migrazione delle specie ittiche, si possono realizzare i “passaggi per pesci”, opere fondamentali per il mantenimento dello stato di salute dei fiumi, poichè ripristinano la naturale connessione tra i vari habitat fluviali.
2) Palazzo San Giacomo Noto come “il Palazzaccio” e ricordato anche come il “palazzo delle 365 finestre”, fu una delle più belle ed imponenti residenze nobiliari estive di tutta la Romagna. Costruito per volere dei conti Rasponi di Ravenna, probabilmente alla fine del XVII secolo, sulle rovine dell’antico castello medioevale di Raffanara, rimase di proprietà della nobile famiglia ravennate fino alla fine dell’Ottocento. Nel 1947 la proprietà passò alla Diocesi di Faenza e, dal 1975, è di proprietà del Comune di Russi. Nel 1757 venne aggiunta la cappella esterna, dedicata a San Giacomo, che conserva al suo interno le tombe del cavalier Federico Rasponi e della moglie marchesa Guerrieri Gonzaga. La decorazione degli interni costituisce, nonostante i danneggiamenti subiti, forse il più vasto ciclo pittorico che ci sia giunto in Romagna fra Sei e Settecento. L’intero piano nobile si presenta ancora oggi affrescato. Per le sue dimensioni eccezionali, soprattutto in relazione al territorio in cui sorge, il Palazzo, abbandonato dopo l’estin- zione della famiglia Rasponi e il danneggiamento causato dai bombardamenti dalla Grande Guerra, ha sempre esercitato un grande fascino sugli artisti. Si dice che il pittore Mattia Moreni, negli anni ’70, durante i suoi soggiorni estivi a Russi, dipingesse dentro le grandi stanze affrescate, fra le quali si spostava in bicicletta.
St. James's Palace
Via Carrarone Rasponi
2) Palazzo San Giacomo Noto come “il Palazzaccio” e ricordato anche come il “palazzo delle 365 finestre”, fu una delle più belle ed imponenti residenze nobiliari estive di tutta la Romagna. Costruito per volere dei conti Rasponi di Ravenna, probabilmente alla fine del XVII secolo, sulle rovine dell’antico castello medioevale di Raffanara, rimase di proprietà della nobile famiglia ravennate fino alla fine dell’Ottocento. Nel 1947 la proprietà passò alla Diocesi di Faenza e, dal 1975, è di proprietà del Comune di Russi. Nel 1757 venne aggiunta la cappella esterna, dedicata a San Giacomo, che conserva al suo interno le tombe del cavalier Federico Rasponi e della moglie marchesa Guerrieri Gonzaga. La decorazione degli interni costituisce, nonostante i danneggiamenti subiti, forse il più vasto ciclo pittorico che ci sia giunto in Romagna fra Sei e Settecento. L’intero piano nobile si presenta ancora oggi affrescato. Per le sue dimensioni eccezionali, soprattutto in relazione al territorio in cui sorge, il Palazzo, abbandonato dopo l’estin- zione della famiglia Rasponi e il danneggiamento causato dai bombardamenti dalla Grande Guerra, ha sempre esercitato un grande fascino sugli artisti. Si dice che il pittore Mattia Moreni, negli anni ’70, durante i suoi soggiorni estivi a Russi, dipingesse dentro le grandi stanze affrescate, fra le quali si spostava in bicicletta.
3) Villa romana - Russi Le prime notizie di rinvenimenti archeologici afferenti il complesso archeologico della Villa Romana di Russi risalgono al 1938-1939 quando furono ritrovate strutture murarie e pavimenti musivi in un’area che già a quel tempo veniva sfruttata come cava per l’estrazione dell’argilla. Le diverse campagne di scavo riportarono in luce l’area padronale della villa, il quartiere rustico e alcuni ambienti dell’impianto produttivo. Nel 1969 furono rinvenute anche due tombe preromane collocate rispettivamente all’estremità occidentale del portico meridionale di accesso alla villa e all’esterno dell’angolo Nord-Est di un ambiente con focolare collocato nel settore della villa con funzione produttiva. Le tombe, ad inumazione, che attestano una frequentazione della zona anche prima della costruzione della villa, sono particolarmente importanti per la conoscenza dell’area romagnola in epoca. Negli anni ottanta del secolo scorso si indagò in particolare la zona ad Est del corridoio esterno individuando un grande cortile con ceppi di albero da frutto e una serie di ulteriori ambienti; negli anni novanta è stata riportata in luce la zona termale scavata alla fine degli anni trenta e il settore produttivo situato nell’area Nord-Est della villa, rimasto a lungo coperto dalla strada di servizio alla cava; tale scavo ha messo in evidenza una parte del muro Nord di chiusura della villa, già in parte rinvenuto nel 1971. Da ultimo, nel 1998 e 1999, sono stati effettuati lavori di tipo subacqueo che hanno comportato lo svuotamento di alcuni pozzi già precedentemente individuati all’interno dell’impianto urbano-rustico.
Russi
17 Via Fiumazzo
3) Villa romana - Russi Le prime notizie di rinvenimenti archeologici afferenti il complesso archeologico della Villa Romana di Russi risalgono al 1938-1939 quando furono ritrovate strutture murarie e pavimenti musivi in un’area che già a quel tempo veniva sfruttata come cava per l’estrazione dell’argilla. Le diverse campagne di scavo riportarono in luce l’area padronale della villa, il quartiere rustico e alcuni ambienti dell’impianto produttivo. Nel 1969 furono rinvenute anche due tombe preromane collocate rispettivamente all’estremità occidentale del portico meridionale di accesso alla villa e all’esterno dell’angolo Nord-Est di un ambiente con focolare collocato nel settore della villa con funzione produttiva. Le tombe, ad inumazione, che attestano una frequentazione della zona anche prima della costruzione della villa, sono particolarmente importanti per la conoscenza dell’area romagnola in epoca. Negli anni ottanta del secolo scorso si indagò in particolare la zona ad Est del corridoio esterno individuando un grande cortile con ceppi di albero da frutto e una serie di ulteriori ambienti; negli anni novanta è stata riportata in luce la zona termale scavata alla fine degli anni trenta e il settore produttivo situato nell’area Nord-Est della villa, rimasto a lungo coperto dalla strada di servizio alla cava; tale scavo ha messo in evidenza una parte del muro Nord di chiusura della villa, già in parte rinvenuto nel 1971. Da ultimo, nel 1998 e 1999, sono stati effettuati lavori di tipo subacqueo che hanno comportato lo svuotamento di alcuni pozzi già precedentemente individuati all’interno dell’impianto urbano-rustico.
5) Torre di Traversara La Torre di Traversara, a Bagnacavallo, fu costruita attorno al 1370 e fu trasformata da torre di difesa in abitazione fortificata e quindi in villa attorno al 1736. La torre passò dalla famiglia Hercolani a quella del conte bagnacavallese Vitelloni, quindi a Leonardo Rambelli, ingegnere capo al Magistrato delle Acque di Venezia prima, di Roma poi. Passò infine al pittore Giuseppe Rambelli, allievo del Fattori, che vi risiedette fino agli anni ’50 e che la illustrò creandovi molte delle sue belle opere.
Torre di Traversara ... ...per eventi di prestigio
52 Via Torri
5) Torre di Traversara La Torre di Traversara, a Bagnacavallo, fu costruita attorno al 1370 e fu trasformata da torre di difesa in abitazione fortificata e quindi in villa attorno al 1736. La torre passò dalla famiglia Hercolani a quella del conte bagnacavallese Vitelloni, quindi a Leonardo Rambelli, ingegnere capo al Magistrato delle Acque di Venezia prima, di Roma poi. Passò infine al pittore Giuseppe Rambelli, allievo del Fattori, che vi risiedette fino agli anni ’50 e che la illustrò creandovi molte delle sue belle opere.
6) La Cagnazza L’edificio, posto nei pressi dell’argine sinistro del Lamone, deve l’insolita denominazione popolare alla presenza sulla sommità della facciata rivolta verso il fiume, di una statua in terracotta, più alta del naturale, raffigurante un cane, lì posto come a guardia del complesso.
Traversara
6) La Cagnazza L’edificio, posto nei pressi dell’argine sinistro del Lamone, deve l’insolita denominazione popolare alla presenza sulla sommità della facciata rivolta verso il fiume, di una statua in terracotta, più alta del naturale, raffigurante un cane, lì posto come a guardia del complesso.
7) Area riquilibrio ecologico Podere Pantaleone A pochi chilometri dal centro storico di Bagnacavallo si trova il Podere Pantaleone - Sito di Interesse Comunitario appartenente a Rete Natura 2000 dal 2006 - un’oasi che si estende per circa nove ettari. Vecchio podere abbandonato di proprietà della famiglia Pirazzoli, fu acquistato dal Comune di Bagnacavallo nel 1988. Nel corso degli anni i filari alberati del Podere si sono estesi senza impedimenti creando un bosco interrotto solo da piccoli spazi erbosi. Al suo interno si trovano la flora e la fauna tipiche della Pianura Padana, almeno fino al dopoguerra: pioppo nero e bianco, acero campestre, farnia, olmo, salice e ciliegio. Tra le attrattive del Podere il grande pioppo nero inserito per le sue dimensioni, l’età, il valore culturale ed ecologico nel primo elenco ufficiale degli Alberi Monumentali d’Italia. Vecchio più di un secolo e alto 27 metri, con una circonferenza del tronco di oltre 5,6 metri, è il secondo pioppo nero più grande in regione. All’interno del podere cresocono arbusti come biancospino, prugnolo selvatico, spino di gatta, rosa canina e rarissimi fiori spontanei come il gladiolo dei campi, lo specchio di Venere, il fiordaliso e molti altri. L’habitat è l’ideale per animali di ogni tipo ma, per gli uccelli in particolare, è un vero paradiso nonché luogo perfetto per la nidificazione, la ricerca del cibo e zona di rifugio per sparvieri, lodolai, usignoli, upupe, gufi, assioli e cuculi.
Podere Pantaleone
1 Vicolo Pantaleone
7) Area riquilibrio ecologico Podere Pantaleone A pochi chilometri dal centro storico di Bagnacavallo si trova il Podere Pantaleone - Sito di Interesse Comunitario appartenente a Rete Natura 2000 dal 2006 - un’oasi che si estende per circa nove ettari. Vecchio podere abbandonato di proprietà della famiglia Pirazzoli, fu acquistato dal Comune di Bagnacavallo nel 1988. Nel corso degli anni i filari alberati del Podere si sono estesi senza impedimenti creando un bosco interrotto solo da piccoli spazi erbosi. Al suo interno si trovano la flora e la fauna tipiche della Pianura Padana, almeno fino al dopoguerra: pioppo nero e bianco, acero campestre, farnia, olmo, salice e ciliegio. Tra le attrattive del Podere il grande pioppo nero inserito per le sue dimensioni, l’età, il valore culturale ed ecologico nel primo elenco ufficiale degli Alberi Monumentali d’Italia. Vecchio più di un secolo e alto 27 metri, con una circonferenza del tronco di oltre 5,6 metri, è il secondo pioppo nero più grande in regione. All’interno del podere cresocono arbusti come biancospino, prugnolo selvatico, spino di gatta, rosa canina e rarissimi fiori spontanei come il gladiolo dei campi, lo specchio di Venere, il fiordaliso e molti altri. L’habitat è l’ideale per animali di ogni tipo ma, per gli uccelli in particolare, è un vero paradiso nonché luogo perfetto per la nidificazione, la ricerca del cibo e zona di rifugio per sparvieri, lodolai, usignoli, upupe, gufi, assioli e cuculi.
9) Ecomuseo delle Erbe Palustri A Villanova, anticamente circondata da un sistema di corsi d’acqua e zone umide, questo affascinante museo conserva le preziose testimonianze dell’antica civiltà e dell’originale utilizzo delle erbe di palude. “Villanova delle Capanne”, situata lun- go l’argine sinistro del fiume Lamone, anticamente faceva parte di un complesso sistema territoriale di corsi d’acqua e zone umide. L’Ecomuseo delle Erbe Palustri conserva memoria di quel saper-fare e di quella stagione produttiva e documenta il contesto ambientale ed economico in cui il paese viveva. Una realtà unica nel suo genere che recupera un patrimonio tradizionale fatto di incastri, intrecci, trame, torsioni e filature che evidenziano lo stretto rapporto tra l’uomo e la valle. L’E- comuseo inizia la sua attività di ricerca e recupero nel 1985, con la finalità primaria di salvare e documentare un bagaglio di capacità e valori legati alla vita vissuta fra terra e valle. Il giardino del Museo ospita l’Etnoparco che recupera le splendide costruzioni in canna palustre tipiche del ravennate, opera degli ultimi maestri capannai della zona. L’Ecomuseo organizza laboratori didattici, corsi, escursioni e, nel secondo fine settimana di settembre, si tiene ogni anno la Sagra della Civiltà delle Erbe Palustri. La visita si conclude all’ Etnoparco, se- zione all’aperto dove sono allestite le stupende capanne in canna palustre, un tempo diffuse sull’intero territorio ravennate.
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Ecomuseum Palustri Herbs
1 Via Giuseppe Ungaretti
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9) Ecomuseo delle Erbe Palustri A Villanova, anticamente circondata da un sistema di corsi d’acqua e zone umide, questo affascinante museo conserva le preziose testimonianze dell’antica civiltà e dell’originale utilizzo delle erbe di palude. “Villanova delle Capanne”, situata lun- go l’argine sinistro del fiume Lamone, anticamente faceva parte di un complesso sistema territoriale di corsi d’acqua e zone umide. L’Ecomuseo delle Erbe Palustri conserva memoria di quel saper-fare e di quella stagione produttiva e documenta il contesto ambientale ed economico in cui il paese viveva. Una realtà unica nel suo genere che recupera un patrimonio tradizionale fatto di incastri, intrecci, trame, torsioni e filature che evidenziano lo stretto rapporto tra l’uomo e la valle. L’E- comuseo inizia la sua attività di ricerca e recupero nel 1985, con la finalità primaria di salvare e documentare un bagaglio di capacità e valori legati alla vita vissuta fra terra e valle. Il giardino del Museo ospita l’Etnoparco che recupera le splendide costruzioni in canna palustre tipiche del ravennate, opera degli ultimi maestri capannai della zona. L’Ecomuseo organizza laboratori didattici, corsi, escursioni e, nel secondo fine settimana di settembre, si tiene ogni anno la Sagra della Civiltà delle Erbe Palustri. La visita si conclude all’ Etnoparco, se- zione all’aperto dove sono allestite le stupende capanne in canna palustre, un tempo diffuse sull’intero territorio ravennate.
10) Villa Savoia Villa Savoia, finita di costruire nel XVII secolo ad opera dei Conti Vaini di Bagnacavallo, è oggi di proprietà della diocesi di Faenza. In una nota storica diffusa dal Comune di Bagnacavallo, si legge: “L’edificio signorile fu per lungo tempo l’unico a dominare la pianura circostante allora in gran parte acquitrinosa. Completato nel 1673 a opera dei Conti Vaini, passò ai Conti Barbuchielli di Ravenna che fecero erigere l’oratorio dedicato a S. Giovanni Battista e benedetto il 27 novembre 1753 (anche se secondo altre fonti furono i Barbuchielli a volere la costruzione del palazzo). [...] Sulla facciata di villa Savoia si aprono tredici finestre e un largo portone al piano nobile rialzato; dal lati si dipartono due ampie rampe di scale che convergono al centro, determinando uno spazioso ed elegante terrazzo, utilizzato come sagrato quando il grande salone, decorato da affreschi della scuola di Tomaso Bibiena, veniva utilizzato come chiesa. [...] Esistono ancora bei soffitti a cassettoni in legno ora tinteggiati. All’interno è possibile ammirare due grandi pitture del ‘700 raffiguranti la parabola del Figliuol Prodigo. Due camini molto de- corati e sopraporte con cineserie sugli ingressi principali. Un particolare cenno merita la chiesa a lato dell’edificio con elegante finestra sopraporta di rara forma. Al piano interrato, restaurato e raggiungibile con scale voltate a botte, grandi pilastri in cotto scandiscono tre spazi rettangolari. La denominazione Villa Savoia, che potrebbe far pensare alla Casa Regnante, di fatto è di origine incerta.”. All’inizio di febbraio, si svolge la festa della Madonna del Fuoco, protettrice della frazione.
Villa Savoia complesso monumentale
43 Via Reale
10) Villa Savoia Villa Savoia, finita di costruire nel XVII secolo ad opera dei Conti Vaini di Bagnacavallo, è oggi di proprietà della diocesi di Faenza. In una nota storica diffusa dal Comune di Bagnacavallo, si legge: “L’edificio signorile fu per lungo tempo l’unico a dominare la pianura circostante allora in gran parte acquitrinosa. Completato nel 1673 a opera dei Conti Vaini, passò ai Conti Barbuchielli di Ravenna che fecero erigere l’oratorio dedicato a S. Giovanni Battista e benedetto il 27 novembre 1753 (anche se secondo altre fonti furono i Barbuchielli a volere la costruzione del palazzo). [...] Sulla facciata di villa Savoia si aprono tredici finestre e un largo portone al piano nobile rialzato; dal lati si dipartono due ampie rampe di scale che convergono al centro, determinando uno spazioso ed elegante terrazzo, utilizzato come sagrato quando il grande salone, decorato da affreschi della scuola di Tomaso Bibiena, veniva utilizzato come chiesa. [...] Esistono ancora bei soffitti a cassettoni in legno ora tinteggiati. All’interno è possibile ammirare due grandi pitture del ‘700 raffiguranti la parabola del Figliuol Prodigo. Due camini molto de- corati e sopraporte con cineserie sugli ingressi principali. Un particolare cenno merita la chiesa a lato dell’edificio con elegante finestra sopraporta di rara forma. Al piano interrato, restaurato e raggiungibile con scale voltate a botte, grandi pilastri in cotto scandiscono tre spazi rettangolari. La denominazione Villa Savoia, che potrebbe far pensare alla Casa Regnante, di fatto è di origine incerta.”. All’inizio di febbraio, si svolge la festa della Madonna del Fuoco, protettrice della frazione.
11) Torri di Savarna Edificate nel XVI secolo dalla famiglia Rasponi come rifugio per le orde di banditi che agivano nelle campagne ravennati, hanno resistito al tempo arrivando ad oggi in forma di piccola fortezza con due torri, a metà tra il castello fortificato e la villa signorile. Si ritiene che la torre si trovasse nel luogo in cui successivamente fu costruita la palazzina oggi denominata “Le torri di Savarna”. Dopo due gravissimi fatti di sangue, che videro coinvolti i Rasponi, nel 1577 papa Gregorio XIII fece confiscare le proprietà della nobile famiglia e varie loro costruzioni vennero rase al suolo: così capitò alle Torri di Savarna. Alcune decine di anni dopo il nuovo papa Sisto V graziò Girolamo Rasponi e restituì le proprietà confiscate. Nel 1657 Leonora Rasponi chiese di poter rifabbricare un edificio sulle fondamenta di quello preesistente; l’edificio rico- struito mantenne il nome di “Torri di Savarna”. Alla morte di Leonora il nuovo palazzo passò al capitano Antonio Rasponi che morì senza figli; suoi eredi risultarono i figli del fratello Carlo Maria Rasponi: Silvestro e Valerio. Alla fine dell’800 le Torri di Savarna passarono ai Conti Guidi e poi ai Brocchi. La palazzina fu ristrutturata e la vicina scuderia divenne sede di un locale per pellegrini denominato “La taverna del Palazzetto”.
Savarna
11) Torri di Savarna Edificate nel XVI secolo dalla famiglia Rasponi come rifugio per le orde di banditi che agivano nelle campagne ravennati, hanno resistito al tempo arrivando ad oggi in forma di piccola fortezza con due torri, a metà tra il castello fortificato e la villa signorile. Si ritiene che la torre si trovasse nel luogo in cui successivamente fu costruita la palazzina oggi denominata “Le torri di Savarna”. Dopo due gravissimi fatti di sangue, che videro coinvolti i Rasponi, nel 1577 papa Gregorio XIII fece confiscare le proprietà della nobile famiglia e varie loro costruzioni vennero rase al suolo: così capitò alle Torri di Savarna. Alcune decine di anni dopo il nuovo papa Sisto V graziò Girolamo Rasponi e restituì le proprietà confiscate. Nel 1657 Leonora Rasponi chiese di poter rifabbricare un edificio sulle fondamenta di quello preesistente; l’edificio rico- struito mantenne il nome di “Torri di Savarna”. Alla morte di Leonora il nuovo palazzo passò al capitano Antonio Rasponi che morì senza figli; suoi eredi risultarono i figli del fratello Carlo Maria Rasponi: Silvestro e Valerio. Alla fine dell’800 le Torri di Savarna passarono ai Conti Guidi e poi ai Brocchi. La palazzina fu ristrutturata e la vicina scuderia divenne sede di un locale per pellegrini denominato “La taverna del Palazzetto”.
12) Raccolta Etnografica dei Mestieri Rurali Affascinante museo della civiltà contadina che contiene oltre duemila vecchi attrezzi ed utensili di uso contadino tipici delle nostre campagne e dei nostri borghi. La collezione privata, realizzata da Romano Segurini, è ospitata in un casolare ottocentesco, composto da abitazione, stalla, fienile, servizi e da due capanni realizzati con le erbe palustri. Cà Segurini, inizialmente di proprietà dei conti Rasponi, poi dei conti Guidi è oggi di proprietà della famiglia Segurini. La raccolta comprende dagli utensili da cucina, a quelli usati per altri lavori domestici: per la produzione del pane, per la macellazione del maiale, per la lavorazione della canapa, per la filatura e la tessitura. Ampio spazio è riservato agli attrezzi agricoli per il lavoro dei campi, quelli per la mietitura del grano, per la trebbiatura e per la produzione del vino: dalla vendemmia alla pigiatura dell’uva, alla fermentazione, alla conservazione del vino in cantina. Non mancano gli strumenti degli artigiani: il falegname, il calzolaio, il muratore. Mobili, oggetti e attrezzi creano l’arredo di una casa viva, luogo ideale per trasmettere la cultura materiale di quel sapere contadino e artigiano che è giunto fino a noi e la cui memoria può ancora essere salvata.
Museo Etnografico Sguri
4 Via degli Orsini
12) Raccolta Etnografica dei Mestieri Rurali Affascinante museo della civiltà contadina che contiene oltre duemila vecchi attrezzi ed utensili di uso contadino tipici delle nostre campagne e dei nostri borghi. La collezione privata, realizzata da Romano Segurini, è ospitata in un casolare ottocentesco, composto da abitazione, stalla, fienile, servizi e da due capanni realizzati con le erbe palustri. Cà Segurini, inizialmente di proprietà dei conti Rasponi, poi dei conti Guidi è oggi di proprietà della famiglia Segurini. La raccolta comprende dagli utensili da cucina, a quelli usati per altri lavori domestici: per la produzione del pane, per la macellazione del maiale, per la lavorazione della canapa, per la filatura e la tessitura. Ampio spazio è riservato agli attrezzi agricoli per il lavoro dei campi, quelli per la mietitura del grano, per la trebbiatura e per la produzione del vino: dalla vendemmia alla pigiatura dell’uva, alla fermentazione, alla conservazione del vino in cantina. Non mancano gli strumenti degli artigiani: il falegname, il calzolaio, il muratore. Mobili, oggetti e attrezzi creano l’arredo di una casa viva, luogo ideale per trasmettere la cultura materiale di quel sapere contadino e artigiano che è giunto fino a noi e la cui memoria può ancora essere salvata.
13) Ex zuccherificio di Mezzano Intorno ai primi del ‘900, la Società Agricola Industriale Lamone acquisì dalla famiglia Guiccioli una vasta area sulla quale, nel 1907, ebbe inizio la costruzione di uno zuccherificio. Il fabbricato principale era caratterizzato da una navata centrale intersecata da due corpi trasversali. La presenza dei transetti era sottolineata da due ciminiere, poste in asse ai corpi di fabbrica. L’accesso al complesso produttivo era indicato da due torri, un tempo destinate ad abitazioni degli impiegati. Il progettista dello stabilimento, Pier Alfonso Barbé, vi prestò servizio anche come direttore. Per facilitare il trasporto delle bietole, la Società Eridania Zuccherifici Nazionali, che nel 1920 aveva rilevato la proprietà dell’impianto, realizzò due tratti ferroviari che raggiungevano la chiesa delle Mandriole e l’azienda Corriera in Pineta. La fornace, costruita nel 1905 in funzione dello zuccherificio, rimase in servizio per circa 50 anni. Negli anni Trenta al suo interno fu impiantata una fabbrica di ceramiche che lavorò per qualche anno, utilizzando terra rossa del Lamone: era ge- stito da Dino Righini, diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna e vi lavorava Eugenia Barbè (figlia del direttore dello zuccherificio, Eugenio, ucciso nel maggio del 1945). Lo stabilimento ha svolto la sua ultima campagna saccarifera nel 1988. Negli anni successivi l’impianto è stato adattato ad altre esigenze produttive e attende ancora un intervento di recu- pero. L’alta ciminiera che forava il colmo di copertura in prossimità del lucernario sommitale fu distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale.
Via Zuccherificio
Via Zuccherificio
13) Ex zuccherificio di Mezzano Intorno ai primi del ‘900, la Società Agricola Industriale Lamone acquisì dalla famiglia Guiccioli una vasta area sulla quale, nel 1907, ebbe inizio la costruzione di uno zuccherificio. Il fabbricato principale era caratterizzato da una navata centrale intersecata da due corpi trasversali. La presenza dei transetti era sottolineata da due ciminiere, poste in asse ai corpi di fabbrica. L’accesso al complesso produttivo era indicato da due torri, un tempo destinate ad abitazioni degli impiegati. Il progettista dello stabilimento, Pier Alfonso Barbé, vi prestò servizio anche come direttore. Per facilitare il trasporto delle bietole, la Società Eridania Zuccherifici Nazionali, che nel 1920 aveva rilevato la proprietà dell’impianto, realizzò due tratti ferroviari che raggiungevano la chiesa delle Mandriole e l’azienda Corriera in Pineta. La fornace, costruita nel 1905 in funzione dello zuccherificio, rimase in servizio per circa 50 anni. Negli anni Trenta al suo interno fu impiantata una fabbrica di ceramiche che lavorò per qualche anno, utilizzando terra rossa del Lamone: era ge- stito da Dino Righini, diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Ravenna e vi lavorava Eugenia Barbè (figlia del direttore dello zuccherificio, Eugenio, ucciso nel maggio del 1945). Lo stabilimento ha svolto la sua ultima campagna saccarifera nel 1988. Negli anni successivi l’impianto è stato adattato ad altre esigenze produttive e attende ancora un intervento di recu- pero. L’alta ciminiera che forava il colmo di copertura in prossimità del lucernario sommitale fu distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale.
14) Bacini dell’ex zuccherificio di Mezzano Il sito è costituito dai bacini di decantazione delle acque di lavaggio delle barbabietole dell’ex zuccherificio di Mezzano, situato a Nord dell’omonimo centro abitato. Dopo anni di abbandono, alla fine degli anni ’90, i bacini sono stati oggetto di interventi di bonifica ambientale che hanno comportato la rimozione di infrastrutture e macerie di diverso tipo, l’abbassa- mento degli argini perimetrali, la piantumazione di alberi e arbusti autoctoni sugli argini per creare ambienti idonei alla fauna selvatica e la realizzazione di un sistema di circolazione controllato delle acque. I bacini si sono così trasformati in un interessante ecosistema palustre incluso tra I siti di Rete Natura 2000, con estesi can- neti, specchi d’acqua e folte macchie di salici e sambuchi per un ambiente in rapida via di naturalizzazione inserito in un contesto di spiccata antropizzazione.
Via Zuccherificio
Via Zuccherificio
14) Bacini dell’ex zuccherificio di Mezzano Il sito è costituito dai bacini di decantazione delle acque di lavaggio delle barbabietole dell’ex zuccherificio di Mezzano, situato a Nord dell’omonimo centro abitato. Dopo anni di abbandono, alla fine degli anni ’90, i bacini sono stati oggetto di interventi di bonifica ambientale che hanno comportato la rimozione di infrastrutture e macerie di diverso tipo, l’abbassa- mento degli argini perimetrali, la piantumazione di alberi e arbusti autoctoni sugli argini per creare ambienti idonei alla fauna selvatica e la realizzazione di un sistema di circolazione controllato delle acque. I bacini si sono così trasformati in un interessante ecosistema palustre incluso tra I siti di Rete Natura 2000, con estesi can- neti, specchi d’acqua e folte macchie di salici e sambuchi per un ambiente in rapida via di naturalizzazione inserito in un contesto di spiccata antropizzazione.
15) Sant’Alberto Questo piccolo centro urbano è circondato dagli splendidi paesaggi del Parco Regionale del Delta del Po, e rappresenta l’accesso sud alle grandi Valli di Comacchio, facilmente raggiungibili con il pittoresco traghetto sul fiume Reno. Principale attrattiva della cittadina è il Palazzone, un edificio costruito dalla famiglia degli Estensi nella prima metà del XVI secolo come presidio militare. Oggi è sede del Museo NatuRa, una struttura museale dedicata alle Scienze Naturali, intitolata alla memoria di “Alfredo Brandolini”, naturalista ravennate dei primi anni del Novecento. Al suo interno si conservano una preziosa collezione ornitologica donata dallo stesso Brandolini e numerosi altri reperti provenienti da donazioni avvenute nel corso degli anni. Inoltre, presso la chiesa priorale rinascimentale di Sant’Alberto sono conservate alcune pregevoli opere d’arte, quali l’in- coronazione della Vergine di Luca Longhi, un’Addolorata del Ballanti Graziani e un crocifisso ligneo. Sant’Alberto ha dato i natali al poeta Olindo Guerrini, di cui si può ammirare la casa di famiglia
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Sant'Alberto
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15) Sant’Alberto Questo piccolo centro urbano è circondato dagli splendidi paesaggi del Parco Regionale del Delta del Po, e rappresenta l’accesso sud alle grandi Valli di Comacchio, facilmente raggiungibili con il pittoresco traghetto sul fiume Reno. Principale attrattiva della cittadina è il Palazzone, un edificio costruito dalla famiglia degli Estensi nella prima metà del XVI secolo come presidio militare. Oggi è sede del Museo NatuRa, una struttura museale dedicata alle Scienze Naturali, intitolata alla memoria di “Alfredo Brandolini”, naturalista ravennate dei primi anni del Novecento. Al suo interno si conservano una preziosa collezione ornitologica donata dallo stesso Brandolini e numerosi altri reperti provenienti da donazioni avvenute nel corso degli anni. Inoltre, presso la chiesa priorale rinascimentale di Sant’Alberto sono conservate alcune pregevoli opere d’arte, quali l’in- coronazione della Vergine di Luca Longhi, un’Addolorata del Ballanti Graziani e un crocifisso ligneo. Sant’Alberto ha dato i natali al poeta Olindo Guerrini, di cui si può ammirare la casa di famiglia
16) Museo di Scienze Naturali “Alfredo Brandolini” Il Museo Ravennate di Scienze Naturali “Alfredo Brandolini”, ha sede nella frazione di Sant’Alberto distante pochi chilo- metri da Ravenna e situato alle porte del Parco del Delta del Po. Il Museo comprende una preziosa collezione ornitologica raccolta da Alfredo Brandolini, naturalista ravennate dei primi anni del ‘900 e numerosi altri reperti provenienti da donazioni avvenute nel corso degli anni. Contiene inoltre una collezione di conchiglie del Mare Adriatico, rinvenibili in particolare lungo le coste romagnole ed alcuni esemplari di rettili e mammiferi, non solo tipici delle valli del territorio, ma anche esotici. La sede di NatuRa è situata presso uno storico edificio santalbertese denominato il Palazzone, che assume la funzione di sede museale tramite un progetto architettonico che ricontestualizza gli oggetti sia rispetto ad un ambiente dai forti conno- tati naturalistici sia rispetto ad un manufatto che storicamente riveste la vocazione tipica di passaggio e scambio. Il Palazzone era infatti originariamente Hostaria di viandanti, commercianti e pellegrini. Recentemente ristrutturato, esso offre quindi un ambiente idoneo ad ospitare un museo naturalistico per la sua struttura peculiare di fabbrica cinquecentesca deputata al commercio e simbolo di conoscenze e di scambi culturali. All’interno di NatuRa vengono ospitate mostre, conferenze, presentazioni e organizzati numerosi eventi ed attività (itinerari guidati, laboratori, visite alle collezioni).
NatuRa - Museo ravennate di Scienze Naturali "Alfredo Brandolini"
25 Via Rivaletto
16) Museo di Scienze Naturali “Alfredo Brandolini” Il Museo Ravennate di Scienze Naturali “Alfredo Brandolini”, ha sede nella frazione di Sant’Alberto distante pochi chilo- metri da Ravenna e situato alle porte del Parco del Delta del Po. Il Museo comprende una preziosa collezione ornitologica raccolta da Alfredo Brandolini, naturalista ravennate dei primi anni del ‘900 e numerosi altri reperti provenienti da donazioni avvenute nel corso degli anni. Contiene inoltre una collezione di conchiglie del Mare Adriatico, rinvenibili in particolare lungo le coste romagnole ed alcuni esemplari di rettili e mammiferi, non solo tipici delle valli del territorio, ma anche esotici. La sede di NatuRa è situata presso uno storico edificio santalbertese denominato il Palazzone, che assume la funzione di sede museale tramite un progetto architettonico che ricontestualizza gli oggetti sia rispetto ad un ambiente dai forti conno- tati naturalistici sia rispetto ad un manufatto che storicamente riveste la vocazione tipica di passaggio e scambio. Il Palazzone era infatti originariamente Hostaria di viandanti, commercianti e pellegrini. Recentemente ristrutturato, esso offre quindi un ambiente idoneo ad ospitare un museo naturalistico per la sua struttura peculiare di fabbrica cinquecentesca deputata al commercio e simbolo di conoscenze e di scambi culturali. All’interno di NatuRa vengono ospitate mostre, conferenze, presentazioni e organizzati numerosi eventi ed attività (itinerari guidati, laboratori, visite alle collezioni).
17) Il Palazzone Imponente edificio di grande valore storico, nonché avamposto ferrarese in terra romagnola voluto dagli Estensi nella prima metà del XVI secolo come Hostaria del Duca di Ferrara. Era luogo di ristoro per pellegrini e viaggiatori, magazzino per le derrate alimentari e, forse, sede di un posto di guardia. Qualche secolo fa, Sant’Alberto era un paese di confine tra il Ducato di Ferrara, lo Stato Pontificio, la bizantina Ravenna, i Bolognesi e la Repubblica di Venezia. Varie guerre furono combattute per il possesso del paese, il quale era completamente attraversato dal Po di Primaro (così si chiamava questo ramo meri- dionale del fiume), navigabile da Ferrara all’Adriatico - quindi via di comunicazione di importanza strategica per gli scambi commerciali, soprattutto del sale - e gli abitanti si distribuivano da una parte e dall’altra degli argini. Nel 1688, dopo aver perso parte del prestigio ed essere stata declassata a hosteria, tornò a godere di una buona stima di- ventando la dimora gentilizia della famiglia ravennate degli Spreti fino al 1885. Quando la vecchia nobiltà pontificia divenne un anacronismo, il palazzo venne denominato, in maniera dispregiativa, il Palazzone e fino alla metà del 1900 il suo uso fu di abitazione popolare. Nel 1970 venne acquistato alla famiglia Mascanzoni di Sant’Alberto da parte delle cooperative locali CAB e CMCM che lo donarono a loro volta al Comune di Ravenna, fecendone nel 1981 il Museo della Civiltà delle Acque. In seguito al restauro, tutti i piani del Palazzone risultano praticabili ed, inoltre, è dotato di un ascensore che consente l’a- gibilità di tutti gli ambienti anche alle persone diversamente abili. Il Palazzone è oggi sede del Museo di Scienze Naturali “Alfredo Brandolini” e del Centro Visite del Parco del Delta del Po.
NatuRa - Museo ravennate di Scienze Naturali "Alfredo Brandolini"
25 Via Rivaletto
17) Il Palazzone Imponente edificio di grande valore storico, nonché avamposto ferrarese in terra romagnola voluto dagli Estensi nella prima metà del XVI secolo come Hostaria del Duca di Ferrara. Era luogo di ristoro per pellegrini e viaggiatori, magazzino per le derrate alimentari e, forse, sede di un posto di guardia. Qualche secolo fa, Sant’Alberto era un paese di confine tra il Ducato di Ferrara, lo Stato Pontificio, la bizantina Ravenna, i Bolognesi e la Repubblica di Venezia. Varie guerre furono combattute per il possesso del paese, il quale era completamente attraversato dal Po di Primaro (così si chiamava questo ramo meri- dionale del fiume), navigabile da Ferrara all’Adriatico - quindi via di comunicazione di importanza strategica per gli scambi commerciali, soprattutto del sale - e gli abitanti si distribuivano da una parte e dall’altra degli argini. Nel 1688, dopo aver perso parte del prestigio ed essere stata declassata a hosteria, tornò a godere di una buona stima di- ventando la dimora gentilizia della famiglia ravennate degli Spreti fino al 1885. Quando la vecchia nobiltà pontificia divenne un anacronismo, il palazzo venne denominato, in maniera dispregiativa, il Palazzone e fino alla metà del 1900 il suo uso fu di abitazione popolare. Nel 1970 venne acquistato alla famiglia Mascanzoni di Sant’Alberto da parte delle cooperative locali CAB e CMCM che lo donarono a loro volta al Comune di Ravenna, fecendone nel 1981 il Museo della Civiltà delle Acque. In seguito al restauro, tutti i piani del Palazzone risultano praticabili ed, inoltre, è dotato di un ascensore che consente l’a- gibilità di tutti gli ambienti anche alle persone diversamente abili. Il Palazzone è oggi sede del Museo di Scienze Naturali “Alfredo Brandolini” e del Centro Visite del Parco del Delta del Po.
18) Punte Alberete Meraviglioso complesso palustre d’acqua dolce, posto a sud del fiume Lamone, composto da un’affascinante mosaico di ambienti umidi, costituisce uno dei più pregiati ecosistemi a livello nazionale e comunitario. Si tratta di una foresta allagata molto suggestiva dal punto di vista paesaggistico, derivata dalla grande cassa di colmata compresa tra il fiume Lamone e il canale Fossatone, e caratterizzata dall’ alternarsi di ambienti di bosco igrofilo più o meno inondato, praterie sommerse, radure aperte, flora e fauna tipiche di ambienti palustri di varia profondità idrica. Questo straordinario bosco igrofilo di frassino ossifilo, pioppo bianco, olmo campestre, salice bianco, ontano nero, farnia, è inframezzato da radure con prati umidi e cariceti, bassure allagate con canneti di canna di palude o falasco, macchie arbustive igrofile di salicone. L’area naturale protetta, appartenente a Rete Natura 2000, è caratterizzata da un sentiero “rialzato” con passerelle e segna- letica della flora tipica; inoltre presso il chiaro Sciafèla (Carraia Scargnarda) si trova un osservatorio schermato. Il percorso è tassativamente pedonale e ombreggiato su entrambi i lati. Una volta entrati ci si lascia prendere dalla magia del luogo: un intreccio di piante igrofile, voci di uccelli e fiori dai vivaci colori.
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Punte Alberete
Via Romea Nord
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18) Punte Alberete Meraviglioso complesso palustre d’acqua dolce, posto a sud del fiume Lamone, composto da un’affascinante mosaico di ambienti umidi, costituisce uno dei più pregiati ecosistemi a livello nazionale e comunitario. Si tratta di una foresta allagata molto suggestiva dal punto di vista paesaggistico, derivata dalla grande cassa di colmata compresa tra il fiume Lamone e il canale Fossatone, e caratterizzata dall’ alternarsi di ambienti di bosco igrofilo più o meno inondato, praterie sommerse, radure aperte, flora e fauna tipiche di ambienti palustri di varia profondità idrica. Questo straordinario bosco igrofilo di frassino ossifilo, pioppo bianco, olmo campestre, salice bianco, ontano nero, farnia, è inframezzato da radure con prati umidi e cariceti, bassure allagate con canneti di canna di palude o falasco, macchie arbustive igrofile di salicone. L’area naturale protetta, appartenente a Rete Natura 2000, è caratterizzata da un sentiero “rialzato” con passerelle e segna- letica della flora tipica; inoltre presso il chiaro Sciafèla (Carraia Scargnarda) si trova un osservatorio schermato. Il percorso è tassativamente pedonale e ombreggiato su entrambi i lati. Una volta entrati ci si lascia prendere dalla magia del luogo: un intreccio di piante igrofile, voci di uccelli e fiori dai vivaci colori.
19) Valle Mandriole Il complesso posto a nord del fiume Lamone prende il nome di Valle Mandriole (o Valle della Canna) ed è un’area protetta appartenente a Rete Natura 2000 e al Parco Regionale del Delta del Po. Questa valle di acqua dolce, da anni a protezione integrale, faceva parte, insieme a Punte Alberete, dell’antica cassa di colmata del fiume Lamone. Sul lato sud della valle è presente una torretta di avvistamento che consente di ammirare il magnifico paesaggio costituito da una vasta distesa di specchi d’acqua dolce alternati a dossi ricoperti da fitti canneti. L’accesso alla Valle è consentito solo fino a tale torretta, ma vale la pena arrivarci e salire perchè dall’alto si ha un’ampia visione del paesaggio terracqueo della valle che è un vero e proprio paradiso per gli amanti delle foto naturalistiche e del birdwatching, per via delle numerose specie di uccelli che vengono qui a nidificare.
Torre di avvistamento Oasi Valle Mandriole
29-102 Via Romea Nord
19) Valle Mandriole Il complesso posto a nord del fiume Lamone prende il nome di Valle Mandriole (o Valle della Canna) ed è un’area protetta appartenente a Rete Natura 2000 e al Parco Regionale del Delta del Po. Questa valle di acqua dolce, da anni a protezione integrale, faceva parte, insieme a Punte Alberete, dell’antica cassa di colmata del fiume Lamone. Sul lato sud della valle è presente una torretta di avvistamento che consente di ammirare il magnifico paesaggio costituito da una vasta distesa di specchi d’acqua dolce alternati a dossi ricoperti da fitti canneti. L’accesso alla Valle è consentito solo fino a tale torretta, ma vale la pena arrivarci e salire perchè dall’alto si ha un’ampia visione del paesaggio terracqueo della valle che è un vero e proprio paradiso per gli amanti delle foto naturalistiche e del birdwatching, per via delle numerose specie di uccelli che vengono qui a nidificare.
20) Pineta San Vitale La pineta dedicata al più noto martire di Ravenna, la più settentrionale fra quelle ravennati, è la più grande (1130 ettari) dei tre nuclei che restano di quel vasto ed unico complesso boschivo che si estendeva, ancora alla fine del XVIII secolo, dal fiume Lamone fino a sud del fiume Savio. Ricco di bassure umide alternate a “staggi” derivati da antichi cordoni dunosi di epoca medievale, il bosco planiziale su cui è stata realizzata artificialmente la pineta di Pino domestico Pinus pinea, può essere suddiviso in due comunità vegetali principali, collegate da comunità di transizione: un bosco xerofilo e un bosco igrofilo. La pineta è attraversata da Nord a Sud dalla Bassa del Pirottolo, depressione con acque da dolci a salmastre, ed è at- traversata in senso Est-Ovest da numerosi canali e dal fiume Lamone. Il sito, appartenente a Rete Natura 2000, risulta quasi totalmente incluso nel Parco Regionale del Delta del Po. Il sottobosco è ricco di biancospini, prugnoli, sanguinelle, olivastri, ginestrelle, pungitopi, asparagi, funghi, rose selvatiche e altro ancora. Per consentire la visita di queste zone, sono attivi diversi percorsi e aree di sosta (Ca’ Vecchia e Ca’ Nova) segnalati e attrezzati con punti di osservazione schermati. In particolare, dal parcheggio della Ca’ Vecchia, partono sentieri verso il cuore della pineta e la Pialassa Baiona. Da qui si snoda un percorso, fruibile a piedi o in bicicletta, che consente di visitare la caratteristica chiesetta della Madonna del Pino, attraversare i ponticelli sul Canale Fossatone e raggiungere bassure ove ammirare aironi, folaghe e anatre. Assieme alla pineta di Classe, la pineta di San Vitale è sempre stata profondamente legata ai valori culturali e alla tradizione locale e tutelata dal punto di vista normativo. Depauperata delle sue ricchezze naturali, è oggi in espansione grazie a diverse azioni di rimboschimento effettuate dall’Amministrazione Comunale e da parte di associazioni locali.
Pineta San Vitale
Via Cesare Mambelli
20) Pineta San Vitale La pineta dedicata al più noto martire di Ravenna, la più settentrionale fra quelle ravennati, è la più grande (1130 ettari) dei tre nuclei che restano di quel vasto ed unico complesso boschivo che si estendeva, ancora alla fine del XVIII secolo, dal fiume Lamone fino a sud del fiume Savio. Ricco di bassure umide alternate a “staggi” derivati da antichi cordoni dunosi di epoca medievale, il bosco planiziale su cui è stata realizzata artificialmente la pineta di Pino domestico Pinus pinea, può essere suddiviso in due comunità vegetali principali, collegate da comunità di transizione: un bosco xerofilo e un bosco igrofilo. La pineta è attraversata da Nord a Sud dalla Bassa del Pirottolo, depressione con acque da dolci a salmastre, ed è at- traversata in senso Est-Ovest da numerosi canali e dal fiume Lamone. Il sito, appartenente a Rete Natura 2000, risulta quasi totalmente incluso nel Parco Regionale del Delta del Po. Il sottobosco è ricco di biancospini, prugnoli, sanguinelle, olivastri, ginestrelle, pungitopi, asparagi, funghi, rose selvatiche e altro ancora. Per consentire la visita di queste zone, sono attivi diversi percorsi e aree di sosta (Ca’ Vecchia e Ca’ Nova) segnalati e attrezzati con punti di osservazione schermati. In particolare, dal parcheggio della Ca’ Vecchia, partono sentieri verso il cuore della pineta e la Pialassa Baiona. Da qui si snoda un percorso, fruibile a piedi o in bicicletta, che consente di visitare la caratteristica chiesetta della Madonna del Pino, attraversare i ponticelli sul Canale Fossatone e raggiungere bassure ove ammirare aironi, folaghe e anatre. Assieme alla pineta di Classe, la pineta di San Vitale è sempre stata profondamente legata ai valori culturali e alla tradizione locale e tutelata dal punto di vista normativo. Depauperata delle sue ricchezze naturali, è oggi in espansione grazie a diverse azioni di rimboschimento effettuate dall’Amministrazione Comunale e da parte di associazioni locali.
21) Piallassa della Baiona Si tratta di un ecosistema lagunare di grande valenza ambientale e floro-faunistica, riconosciuto sia a livello nazionale sia internazionale, il quale riveste un importante ruolo socio-economico territoriale, soprattutto per il turismo, le attività ricre- ative e l’attività di pesca e raccolta di molluschi. L’etimologia del termine Pialassa deriva probabilmente dal sistema dinamico che regola questo tipo di lagune, che rice- vono (“piglia”) e restituiscono (“lascia”) l’acqua marina a seconda dei livelli di marea che oscillano nel corso della giornata. Con una superficie di circa 1.100 ettari, rappresenta l’unico esempio di laguna intertidale del litorale emiliano-romagnolo, collegata al Mare Adriatico unicamente dal Canale Candiano e dalla bocca dell’area portuale di Porto Corsini. La Pialassa Baiona è costituita da bacini semisommersi, poco profondi, chiamati chiari, alternati a canali artificiali e dossi (barene), sui quali si sviluppano piante di rara bellezza come la salicornia e il limonium. In tale contesto ambientale estremamente diversificato spiccano 6 habitat di interesse comunitario, 3 dei quali prioritari, che coprono da soli il 72% della superficie del sito: lagune, pascoli inondati mediterranei, steppe salate, foreste dunali, praterie mediterranee, vegetazione annua pioniera del genere Salicornia e altre specie annuali di zone fangose e sabbiose (formazioni alofite). Gli argini dell’intero comprensorio presentano una ricca vegetazione con 231 specie vegetali censite, delle quali ben 17 inserite nella lista regionale delle specie target per la conservazione; dalle specie alofile tipiche di am- bienti aridi e alini, a specie vegetali di zone umide di acqua dolce. L’ampia laguna e i bacini d’acqua salmastra rappresen- tano importanti ambienti di alimentazione per le specie coloniali nidificanti (soprattutto Garzetta, Sgarza ciuffetto, Airone bianco maggiore, Spatola, Mignattaio, Marangone minore, Cormorano, Mignattino piombato) e per una ricca avifauna migratrice. Sono circa una trentina le specie avicole di interesse comunitario regolarmente presenti.
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Pialassa Baiona
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21) Piallassa della Baiona Si tratta di un ecosistema lagunare di grande valenza ambientale e floro-faunistica, riconosciuto sia a livello nazionale sia internazionale, il quale riveste un importante ruolo socio-economico territoriale, soprattutto per il turismo, le attività ricre- ative e l’attività di pesca e raccolta di molluschi. L’etimologia del termine Pialassa deriva probabilmente dal sistema dinamico che regola questo tipo di lagune, che rice- vono (“piglia”) e restituiscono (“lascia”) l’acqua marina a seconda dei livelli di marea che oscillano nel corso della giornata. Con una superficie di circa 1.100 ettari, rappresenta l’unico esempio di laguna intertidale del litorale emiliano-romagnolo, collegata al Mare Adriatico unicamente dal Canale Candiano e dalla bocca dell’area portuale di Porto Corsini. La Pialassa Baiona è costituita da bacini semisommersi, poco profondi, chiamati chiari, alternati a canali artificiali e dossi (barene), sui quali si sviluppano piante di rara bellezza come la salicornia e il limonium. In tale contesto ambientale estremamente diversificato spiccano 6 habitat di interesse comunitario, 3 dei quali prioritari, che coprono da soli il 72% della superficie del sito: lagune, pascoli inondati mediterranei, steppe salate, foreste dunali, praterie mediterranee, vegetazione annua pioniera del genere Salicornia e altre specie annuali di zone fangose e sabbiose (formazioni alofite). Gli argini dell’intero comprensorio presentano una ricca vegetazione con 231 specie vegetali censite, delle quali ben 17 inserite nella lista regionale delle specie target per la conservazione; dalle specie alofile tipiche di am- bienti aridi e alini, a specie vegetali di zone umide di acqua dolce. L’ampia laguna e i bacini d’acqua salmastra rappresen- tano importanti ambienti di alimentazione per le specie coloniali nidificanti (soprattutto Garzetta, Sgarza ciuffetto, Airone bianco maggiore, Spatola, Mignattaio, Marangone minore, Cormorano, Mignattino piombato) e per una ricca avifauna migratrice. Sono circa una trentina le specie avicole di interesse comunitario regolarmente presenti.

Canale Naviglio Zanelli

Canale Naviglio Zanelli La Bella pista ciclabile che corre lungo il Naviglio è la passeggiata preferita dai bagnacavallesi, a piedi, in bicicletta o di corsa. Si imbocca da largo De Gasperi, si snoda seguendo il tratto dell’antico Canale Naviglio Zanelli, è tranquilla e chiusa al traffico (solo frontalieri). Suggestiva e romantica in ogni stagione.
Via del Canale
Via del Canale
Canale Naviglio Zanelli La Bella pista ciclabile che corre lungo il Naviglio è la passeggiata preferita dai bagnacavallesi, a piedi, in bicicletta o di corsa. Si imbocca da largo De Gasperi, si snoda seguendo il tratto dell’antico Canale Naviglio Zanelli, è tranquilla e chiusa al traffico (solo frontalieri). Suggestiva e romantica in ogni stagione.

Fiume Reno

Descrizione e caratteristiche E’ il più vasto sito della bassa pianura ravennate esterno al Parco del Delta, con una breve estensione al ferrarese. L’ambiente umido ripariale, racchiuso tra grandi argini asciutti e coltivazioni intensive, è ovunque predominante. Alle tre aree situate nel territorio di Alfonsine (da ovest il Boschetto Tre Canali verso Voltana, la Golena Canale dei Mulini, lo Stagno di Fornace Violani) distanti alcuni chilometri una dall’altra e caratterizzate da ambienti più o meno umidi, si aggiungono quelli propriamente ripariali del corso del Fiume Reno da San Biagio ad Anita, inclusa la confluenza del Santerno a discendere dalla Reale. La prima e più occidentale area, situata attorno all’incrocio di vari canali a Sud dello stradone Bentivoglio, comprende un boschetto igrofilo periodicamente allagato a Fraxinus oxycarpa, Salix alba, Ulmus minor, con una garzaia, una piccola zona umida recentemente ripristinata su seminativi ritirati dalla produzione attraverso l’applicazione di misure agroambientali, due zone umide preesitenti e un tratto degli scoli Arginello e Tratturo. La seconda e più settentrionale delle tre aree sopra citate si estende dalle fasce boscate ripariali igrofile della golena destra del fiume Reno lungo una macchia boscata mesofila a Quercus robur, Populus alba, Acer campestre e Ulmus minor all’interno della golena abbandonata del Canale dei Mulini; al margine di tale macchia boscata sorge un antico fabbricato, oggi abbandonato, sede di una interessante colonia di Rinolofo maggiore Rhinolophus ferrumequinum. La terza area, situata a Nord-Est del centro abitato di Alfonsine, è costituita da una ex cava di argilla con bacino allagato (Stagno di Fornace Violani) ricco di vegetazione elofitica e bordato di siepi arboree. L’alveo del Reno, fiancheggiato da una continua fila di salici e pioppi, è racchiuso tra alti argini erbosi a evoluzione (se si escludono sfalci più o meno regolari) naturale. Il sito, di rilievo per la fauna anche ornitica, comprende le tre piccole aree (13 ettari in tutto) della Riserva Naturale Speciale Alfonsine e, tramite il corridoio determinato dal corso del Reno, collega in un grande sistema ripariale-planiziario i siti di Molinella-Argenta col Mezzano e i siti della costa. Tredici habitat, ben sette di acque stagnanti e correnti e di vegetazione acquatica galleggiante, fluttuante o di bordo, perenne o temporanea, tre di tipo erbaceo asciutto o umido di grossa taglia e tre forestali di tipo ripariale arboreo, occupano circa un terzo del sito, altrimenti caratterizzato da estesi seminativi ed aree agricole non ovunque a regime intensivo, in ogni caso inserite in un territorio di bassa pianura fortemente antropizzato. Vegetazione Il sito è abbastanza ricco di specie relitte della bassa pianura, sia dei contesti ripariali sia di quelli pianiziali arborei ed erbacei. L’abbandono di antiche pratiche idrauliche (gestione golene, canali e bonifiche) e agricole (maceri, margini) rende disponibili per un’evoluzione naturale rapida e complessa habitat potenzialmente ricchi e in ogni caso, preziosi in quanto inseriti in contesto fortemente depauperato nelle componenti naturali in quanto antropizzato. I boschetti e le compagini ripariali arboree sono dominati da Pioppi (nero e bianco) e Salici (bianco soprattutto), ma non mancano, oltre all’Ontano Nero, Farnia, Frassino meridionale e Olmo campestre, qua è là occhieggianti sotto l’omnipresente Robinia, ma nel sottobosco c’è anche Euphorbia palustris. Nei fossi e nelle siepi c’è un po’ di tutto. Tipica e di pregio è la presenza del Luppolo, della Clematis viticella e di Aristolochia rotunda. Gli orli bagnati sono l’ambiente di Iris pseudacorus, le acque ferme della Ninfea bianca, del Morso di Rana e del Nannufaro. Sono però gli ultimi lembi residui di prato umido a conservare le presenze più rare come Leucojum aestivum, in particolare, e Galium palustre. Un vecchio muro nella volta della Chiusa ospita la felce Lingua cervina (Phyllitis scolopendrium), mentre su prato asciutto c’è Tulipa sylvestris e, lungo le arginature del Reno, almeno cinque orchidee (Ophrys sphegodes, O. apifera, Orchis tridentata, O morio e O. simia). Fauna Il sito è relativamente ricco di specie faunistiche. Di rilievo è la presenza del Ferro di Cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum) accertato nel vecchio edificio del Canale dei Molini, poi sono accertati Pipistrellus nathusii, Eptesicus serotinus e Myotis daubentoni. Un altro mammifero sicuramente presente è la Donnola, oltre al Moscardino Muscardinus avellanarius e alla Puzzola (Mustela putorius). L’avifauna è presente con molte specie, tra le quali nidificanti sono Averla piccola (Lanius collurio), Martin Pescatore (Alcedo atthis), Pendolino (Remiz pendulinus), Tarabusino, Cinciallegra, Rigogolo e Capinera e non mancano rapaci quali Gufo comune, Barbagianni e Poiana. Di passo sono gli Aironi, il Mignattaio, il Mignattino piombato e il Gruccione, che nidifica nei dintorni della Riserva. Gli specchi d’acqua ospitano la Testuggine palustre, la Rana Verde, il Rospo e la Raganella, la Natrice tassellata e, a quanto pare, anche il Tritone crestato. Tra i pesci di interesse comunitario, ricordando che da alcuni anni non si hanno più notizie del Luccio, vanno citati Rutilus pigus, Alosa fallax, Chondrostoma genei, C. soetta, Barbus plebejus e infine Rutilus erythrophthalmus. Va citato infine il lepidottero Lycaena dispar, d’interesse comunitario, poi Zerynthia polyxena.
Riserva Statale Foce Fiume Reno
Descrizione e caratteristiche E’ il più vasto sito della bassa pianura ravennate esterno al Parco del Delta, con una breve estensione al ferrarese. L’ambiente umido ripariale, racchiuso tra grandi argini asciutti e coltivazioni intensive, è ovunque predominante. Alle tre aree situate nel territorio di Alfonsine (da ovest il Boschetto Tre Canali verso Voltana, la Golena Canale dei Mulini, lo Stagno di Fornace Violani) distanti alcuni chilometri una dall’altra e caratterizzate da ambienti più o meno umidi, si aggiungono quelli propriamente ripariali del corso del Fiume Reno da San Biagio ad Anita, inclusa la confluenza del Santerno a discendere dalla Reale. La prima e più occidentale area, situata attorno all’incrocio di vari canali a Sud dello stradone Bentivoglio, comprende un boschetto igrofilo periodicamente allagato a Fraxinus oxycarpa, Salix alba, Ulmus minor, con una garzaia, una piccola zona umida recentemente ripristinata su seminativi ritirati dalla produzione attraverso l’applicazione di misure agroambientali, due zone umide preesitenti e un tratto degli scoli Arginello e Tratturo. La seconda e più settentrionale delle tre aree sopra citate si estende dalle fasce boscate ripariali igrofile della golena destra del fiume Reno lungo una macchia boscata mesofila a Quercus robur, Populus alba, Acer campestre e Ulmus minor all’interno della golena abbandonata del Canale dei Mulini; al margine di tale macchia boscata sorge un antico fabbricato, oggi abbandonato, sede di una interessante colonia di Rinolofo maggiore Rhinolophus ferrumequinum. La terza area, situata a Nord-Est del centro abitato di Alfonsine, è costituita da una ex cava di argilla con bacino allagato (Stagno di Fornace Violani) ricco di vegetazione elofitica e bordato di siepi arboree. L’alveo del Reno, fiancheggiato da una continua fila di salici e pioppi, è racchiuso tra alti argini erbosi a evoluzione (se si escludono sfalci più o meno regolari) naturale. Il sito, di rilievo per la fauna anche ornitica, comprende le tre piccole aree (13 ettari in tutto) della Riserva Naturale Speciale Alfonsine e, tramite il corridoio determinato dal corso del Reno, collega in un grande sistema ripariale-planiziario i siti di Molinella-Argenta col Mezzano e i siti della costa. Tredici habitat, ben sette di acque stagnanti e correnti e di vegetazione acquatica galleggiante, fluttuante o di bordo, perenne o temporanea, tre di tipo erbaceo asciutto o umido di grossa taglia e tre forestali di tipo ripariale arboreo, occupano circa un terzo del sito, altrimenti caratterizzato da estesi seminativi ed aree agricole non ovunque a regime intensivo, in ogni caso inserite in un territorio di bassa pianura fortemente antropizzato. Vegetazione Il sito è abbastanza ricco di specie relitte della bassa pianura, sia dei contesti ripariali sia di quelli pianiziali arborei ed erbacei. L’abbandono di antiche pratiche idrauliche (gestione golene, canali e bonifiche) e agricole (maceri, margini) rende disponibili per un’evoluzione naturale rapida e complessa habitat potenzialmente ricchi e in ogni caso, preziosi in quanto inseriti in contesto fortemente depauperato nelle componenti naturali in quanto antropizzato. I boschetti e le compagini ripariali arboree sono dominati da Pioppi (nero e bianco) e Salici (bianco soprattutto), ma non mancano, oltre all’Ontano Nero, Farnia, Frassino meridionale e Olmo campestre, qua è là occhieggianti sotto l’omnipresente Robinia, ma nel sottobosco c’è anche Euphorbia palustris. Nei fossi e nelle siepi c’è un po’ di tutto. Tipica e di pregio è la presenza del Luppolo, della Clematis viticella e di Aristolochia rotunda. Gli orli bagnati sono l’ambiente di Iris pseudacorus, le acque ferme della Ninfea bianca, del Morso di Rana e del Nannufaro. Sono però gli ultimi lembi residui di prato umido a conservare le presenze più rare come Leucojum aestivum, in particolare, e Galium palustre. Un vecchio muro nella volta della Chiusa ospita la felce Lingua cervina (Phyllitis scolopendrium), mentre su prato asciutto c’è Tulipa sylvestris e, lungo le arginature del Reno, almeno cinque orchidee (Ophrys sphegodes, O. apifera, Orchis tridentata, O morio e O. simia). Fauna Il sito è relativamente ricco di specie faunistiche. Di rilievo è la presenza del Ferro di Cavallo maggiore (Rhinolophus ferrumequinum) accertato nel vecchio edificio del Canale dei Molini, poi sono accertati Pipistrellus nathusii, Eptesicus serotinus e Myotis daubentoni. Un altro mammifero sicuramente presente è la Donnola, oltre al Moscardino Muscardinus avellanarius e alla Puzzola (Mustela putorius). L’avifauna è presente con molte specie, tra le quali nidificanti sono Averla piccola (Lanius collurio), Martin Pescatore (Alcedo atthis), Pendolino (Remiz pendulinus), Tarabusino, Cinciallegra, Rigogolo e Capinera e non mancano rapaci quali Gufo comune, Barbagianni e Poiana. Di passo sono gli Aironi, il Mignattaio, il Mignattino piombato e il Gruccione, che nidifica nei dintorni della Riserva. Gli specchi d’acqua ospitano la Testuggine palustre, la Rana Verde, il Rospo e la Raganella, la Natrice tassellata e, a quanto pare, anche il Tritone crestato. Tra i pesci di interesse comunitario, ricordando che da alcuni anni non si hanno più notizie del Luccio, vanno citati Rutilus pigus, Alosa fallax, Chondrostoma genei, C. soetta, Barbus plebejus e infine Rutilus erythrophthalmus. Va citato infine il lepidottero Lycaena dispar, d’interesse comunitario, poi Zerynthia polyxena.